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La bicicletta è spesso usata come metafora della vita. La salita, la discesa, le curve. E solo chi sui pedali ci è salito veramente può capire il sacrificio che costa. Fisico, psicologico, sociale da certi punti di vista. Albert Richter, velocista senza tempo, non si fermò a questo sacrificio ma ne realizzò uno ancora più alto. Il sacrificio che paga chi è fedele ad ogni costo alla sua coscienza.

Teddy, così lo chiamavano gli amici, era nato il 14 ottobre 1912 a Ehrenfeld, uno dei quartieri più popolari di Colonia. Figlio di un artigiano-musicista, esattamente come i suoi due fratelli, viene avviato ad entrambe le attività di famiglia. Così, mentre costruisce piccole statue in gesso, impara a suonare il violoncello. Presto però il suo unico grande amore diventa il ciclismo. Stregato dalle bici che sfrecciano nei due velodromi di Colonia, decide di darsi alle corse, forse dopo aver assistito ai campionati del mondo che si svolgono nella sua città.

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Albert Richeter con Ernst Berliner.

Ha solo sedici anni quando vince le sue prime gare, su strada e in pista, e presto finisce per essere notato da Ernst Berliner, ex ciclista di origine ebraica. Seguendo i consigli del suo nuove mentore Albert corre sempre più veloce e trionfa nel Gran Prix de Paris. È il 1932 e ci sono le Olimpiadi, “il cannone di Ehrenfeld”, così lo chiamano i suoi concittadini, vince le selezioni per far parte della squadra tedesca. Purtroppo però la federazione dichiara di non aver i soldi per mandarlo a Los Angeles. Secondo alcuni in realtà l’origine ebraica del suo allenatore gli costa il palcoscenico più importante. Non importa. Nello stesso anno ci sono anche i mondiali dilettantistici di ciclismo su pista a Roma. Questa volta “il tedesco a otto cilindri”, questo diventerà un altro dei suoi soprannomi, partecipa e vince con una prova eccezionale.

Finalmente sembra essere arrivato il momento per Albert Richter di raccogliere tutto quello che ha seminato, di essere ripagato dei sacrifici che ha dovuto sopportare. Diventa professionista e inizia a guadagnare qualcosa dopo anni in cui ha dovuto vivere costantemente in bolletta. Si trasferisce in Francia, dove perfeziona il suo stile, e diventa uno degli sportivi stranieri più amati. Anche perché non smette di vincere. Diventa campione tedesco, titolo che manterrà per sette anni, vince il Gp dell’UCI e quello de al Republique, e finisce sempre sul podio nei campionati mondiali di ciclismo su pista. Lui però non si monta la testa, resta sempre il ragazzo di Ehrenfeld. Un ragazzo con una vita apparentemente perfetta. E invece no, perché la storia non gli è amica.

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Albert Richter con la divisa di gara, al centro sotto la fascia si nota l’aquila teutonica che indossava al posto della svastica.

La stella di Albert non è l’unica cosa ad ascendere negli anni trenta. Sono gli anni in cui il nazionalsocialismo prende il potere in Germania. Richter potrebbe diventare un simbolo del regime, glorificato e ricompensato a peso d’oro per i suoi servigi. Viene corteggiato e blandito, ma le adulazione e le promesse non smuovono di un passo la sua coscienza. Il “cannone di Ehrenfeld” ha un’anima anti-nazista che non tarda a venir fuori. E così, dopo aver declinato l’invito ad iscriversi al partito, si rifiuta di indossare la svastica sulle sue maglie di gara, preferendo la tradizionale aquila teutonica. Nel 34’, dopo la sua seconda vittoria ai campionati tedeschi, Richter viene immortalato in una foto in cui è l’unico a non fare il saluto nazista.

Il regime inizia  a non tollerarlo così come lui non tollera il regime. Più volte la federazione, ormai sotto lo stretto controllo del nazismo, lo invita a cambiare allenatore. L’invito è costantemente rispedito al mittente. Nel 1937 però Ernst Berliner è costretto a lasciare la Germania, troppo pericoloso restare dopo le continue minacce e le aggressioni delle SS al suo mobilificio.

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Albert Richter dopo la vittoria è l’unico a rifiutarsi di fare il saluto nazista.

Il peggio però per Albert Richter deve ancora venire. Più volte il campione si rifiuta di dare informazioni alla Gestapo sulle installazioni belliche francesi. Non vuole diventare una spia. Quando scoppia la seconda guerra mondiale si trova a Milano per i campionati del mondo che saranno sospesi. Ovviamente rigetta la guerra e l’arruolamento. Purtroppo fa un solo errore, tornare in Germania il 9 dicembre per il GP di Berlino. Lo vince e si prepara alla fuga definitiva.
Mentre sta per abbandonare la Germania viene fermato dalla Gestapo a Weil am Rhein. Lo perquisiscono e trovano nelle ruote della sua bicicletta 127.000 franchi, che si era incaricato di portare ad un ebreo da tempo espatriato. È più che sufficiente per portalo al carcere di Lorrach. Non ne uscirà vivo.

Le autorità naziste lo infameranno dicendo che si è suicidato dopo essere stato colto in fragrante mentre fuggiva con del denaro rubato. E poi ne cancelleranno la memoria. Ogni targa, ogni effige, ogni documento di una vittoria sui c’è il nome di Albert Richter viene cancellato.

Ma la gente di Ehrenfeld non lo dimentica, saranno in centinaia ai suoi silenziosi funerali. Nemmeno Ernst Berliner può scordarsi di Albert e così alla fine della guerra torna in Germania ed inizia una difficile opera di verità e riabilitazione. A lungo le autorità della Repubblica federale tedesca saranno sorde al nome di Albert Richter, viceversa nella DDR il velocista diventerà subito celebre come un eroe anti-nazista. Solo negli anni novanta, dopo l’unificazione tedesca, Richter fu completamente riabilitato e gli venne restituito il posto che meritava nel panteon dei ciclisti tedeschi.

Matteo Minelli

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