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Siamo nel 1911, dicembre precisamente.

L’Antartide a quei tempi era veramente solo ghiaccio, neve e lande desolate. L’ultimo angolo del Pianeta rimasto ancora inesplorato.

Due uomini, più o meno consciamente, decisero di sfidarsi per legare nei secoli il proprio nome a questa terra. Da

Roald Amundsen e Robert Falcon Scott.
Roald Amundsen e Robert Falcon Scott.

una parte Robert Falcon Scott , figlio di fabbricanti di birra e marinaio della regia marina britannica. Dall’altra Roald Amundsen, norvegese, medico mancato e spirito indomito. Non era la prima volta che questi straordinari personaggi affrontavano le calotte dell’Antartide. Scott ci aveva già provato nel 1902 fallendo senza appello. Amundsen addirittura aveva partecipato alla prima spedizione che tra il 1897 e il 1899 aveva tentato di raggiungere il Polo Sud. Spedizione conclusasi con la RV Belgica, la nave su cui viaggiava, bloccata per un anno nel mare di Bellingshausen.

Entrambi decisero di riprovarci nell’ottobre del 1911 probabilmente influenzati dalle rivendicazioni di Frederick Cook e poi Robert Peary, che vantavano di aver raggiunto il punto più estremo dell’Artide. Scott pose il suo campo base nello Stretto di McMurdo. Da lì avanzò in compagnia di quattro compagni, alcuni cani da slitta, pony della Manciuria e motoslitte mai utilizzate. Amundsen invece partì negli stessi giorni dalla Baia delle Balene, anch’egli accompagnato da quattro sodali, cani e slitte.

Se alla partenza i due esploratori sembravano godere delle stesse possibilità di raggiungere il punto più estremo della Terra, presto fu chiaro che le due spedizioni vantavano credenziali assai differenti. Un po’ come gli uomini che le guidavano.

Preparazione di un deposito viveri del gruppo di Scott.
Preparazione di un deposito viveri del gruppo di Scott.

Scott faceva riferimento a quella tradizione di esplorazioni britanniche che nell’era elisabettiana avevano fatto sventolare l’Union Jack un po’ ovunque nel mondo. Era convinto che la potenza e la gloria dell’Impero dovessero trionfare anche tra i ghiacci e pensava di poter trarre indubbi vantaggi personali dall’impresa. In realtà aveva già dimostrato di non essere sufficientemente preparato ad affrontare condizioni ambientali estreme e di non avere la giusta esperienza per guidare correttamente i suoi uomini. Insomma forse uno spirito troppo sicuro di se e delle sue origini per poter vincere la sfida.

Amundsen al contrario non vedeva nella spedizione nulla di eroico. Era intenzionato a raggiungere i suoi obiettivi e lavorava minuziosamente fin da giovanissimo per preparasi a scenari di questo tipo. L’esperienza non gli mancava, aveva già affrontato vittoriosamente il mitico passaggio a nord-ovest, e non aveva nessuna intenzione di sottovalutare i problemi che avrebbe incontrato. L’aver posto lungo le tappe del viaggio scorte di rifornimenti e l’aver fatto viaggiare i suoi sugli sci, lasciando ai cani l’incombenza delle slitte, permise un’avanzata agevole e rapida se confrontata con quella del rivale.

Admunsen in una celebre foto al Polo Sud.
Admunsen in una celebre foto al Polo Sud.

Quando Scott, il 18 gennaio 1912, raggiunse il Polo Sud trovò ad aspettarlo la bandiera che Amundsen vi aveva piazzato diverse settimane prima (esattamente 14 dicembre 1911). Fu un duro colpo da digerire. Ma mai duro quanto il viaggio di ritorno. Fame, disidratazione e scorbuto furono i compagni di strada che la spedizione britannica dovette portarsi appresso lungo il percorso a ritroso verso il campo base. Colpiti dalle tempeste di neve sempre più violente, a rischio costante di ipotermia a causa delle  temperature sempre più basse, rallentanti dall’indurimento del suolo, Scott e i suoi iniziarono a cedere lentamente ma inesorabilmente. Il primo a mollare definitivamente la presa fu Evans che letteralmente si congelò vivo. Poi fu la volta del coraggioso Oates; sofferente per delle vecchie ferite e convinto di non potercela fare, lasciò i suoi compagni per non rallentarne la marcia e non consumare le già misere riserve alimentari. Scomparve nella bufera dicendo: “vado a fare un giro, potrebbe volerci un po’ “. Scott, Bowers e Wilson giunti a soli quindici chilometri dalle riserve di cibo sono bloccati da un uragano di neve e ghiaccio che gli si scatena scontro con una forza inaudita. La tenda che monteranno per proteggersi sarà la loro tomba.

Mentre la spedizione inglese si tramuta in tragedia, Amundsen e i suoi riescono a tappe forzate a raggiungere in scioltezza il proprio campo base. Il norvegese è acclamato in tutto il mondo come il primo uomo ad aver raggiunto il Polo Sud, eppure la sua fama finisce per essere oscurata dalla terribile fine del rivale.

Dalle due spedizioni, Amundsen e Terra Nova, sono passati più di cento anni, eppure non si è mai smesso di mettere a confronto gli uomini che le guidarono. E come spesso avviene con il tempo i giudizi si sono capovolti. Se in un primo momento Scott fu omaggiato come un eroe romantico perito nel corso di un’impresa leggendaria, negli ultimi decenni è finito per passare alla storia come un superficiale incapace di affrontare la durezza dell’Antartide, una guida pessima e profondamente autoritaria per i suoi compagni, un opportunista dedito alle esplorazioni più per interessi che per amore dell’avventura.Viceversa la stella di Amundsen, inizialmente meno brillante di quella del rivale, con il tempo è diventata sempre più splendente. Forse anche grazie alla tragica fine del norvegese, che perì nella coraggiosissima impresa di salvataggio di Uberto Nobile e i superstiti della Tenda Rossa. Per questo

Quello che però è rimasto immutato, ieri come oggi, è la costante contrapposizione delle due figure, l’esacerbare un dualismo che la storia ha già seppellito da tempo. Ma forse Amundens e Scott furono più simili di quanto la storiografia e le cronache ci abbiano tramandato. Perché in fondo come possono essere tanto diversi due uomini che hanno lo stesso sogno?

Minelli Matteo 

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