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di Matteo Minelli

 

In una parte di Amazzonia, nello stato del Maranhão, una delle ultime tribù di cacciatori-raccoglitori del Brasile lotta contro l’estinzione: stiamo parlando dei 355 Awá già venuti in contatto con la Civiltà e dei tanti altri che restano nascosti nel fitto di una foresta sempre più sottile.

La storia degli Awá è una di quelle storie che fanno arrabbiare, gridare e commuovere. È la storia di un popolo di agricoltori che per sopravvivere alle ondate colonizzatrici di taglialegna, allevatori e minatori si è evoluto ed è diventato nomade. Per fuggire dalla schiavitù, dalle malattie, dalla distruzione del loro ambiente natio, gli Awá hanno percorso al contrario, o forse nel verso giusto, il sentiero che ha portato l’uomo dal migrare ad essere sedentario, dal raccogliere al coltivare, dall’andare al restare.

E gli Awá ne hanno fatta di strada per diventare lo straordinario popolo che sono. Un popolo in cui tutti credono che il cielo sia popolato da harawá, spiriti degli antenati, di uccelli e altri animali, che ogni giorno scendono sulla terra e che qualche notte si fermano nei loro villaggi per incontrare gli uomini della tribù. Un rito detto takajá propizia e celebra questa visita, durante la quale il capanno diventa il portale di incontro tra due mondi: il divino e il terreno, che alla fine per gli Awá sono fusi nella perfezione della foresta. Un ambiente che essi considerano sacro a tal punto da non volerne alterare in alcun modo la conformazione.

Solo comprendendo l’amore che questo popolo ha per la sua terra si può capire una delle abitudini più diffuse tra le donne Awá: l’allattamento dei cuccioli di scimmia orfani. Questo popolo convive con cinghiali, avvoltoi reali, piccoli orsetti simili al procione che scorrazzano e seguono la tribù ovunque. E in particolare ama prendersi cura delle piccole scimmie che una volta accolte nella comunità diventano hanima, membri della famiglia, a cui sarà proibito torcere un solo capello anche quando, da adulti, saranno tornati a vivere liberamente nella foresta.

Molte donne Awà allattano cuccioli di scimmia orfani.
Molte donne Awà allattano cuccioli di scimmia orfani.

Purtroppo la cultura e la vita stessa degli Awá, da quasi mezzo secolo, sono in serissimo pericolo. Erano, infatti, gli anni settanta quando nello stato del Maranhão vennero scoperti importanti giacimenti di ferro, che portarono allo sviluppo del programma “Gran Carajás” con cui Comunità Europea e Fondo Monetario Internazionale finanziarono una massiccia azione di civilizzazione e sfruttamento dell’area. Dopo un decennio una parte della tribù venne “contattata” dalle autorità brasiliane e costretta ad insediarsi in comunità sedentarie. Il risultato fu disastroso: in quattro anni più del 70% degli Awá integrati era morto.

Negli anni che vanno dal 1985 ad oggi la foresta in cui questo popolo trova cibo e riparo ha subito un disboscamento pari al 30% della sua superficie originale. E nel 2009 è stata la zona sottoposta a maggior deforestazione fra tutte le terre indigene dell’Amazzonia. Nel frattempo le violenze esercitate da taglialegna e allevatori nei confronti degli Awá hanno raggiunto una escalation di proporzioni drammatiche. Nel 2011 una bambina di otto anni della tribù è stata rapita, legata ad un albero e arsa viva da un gruppo di taglialegna in segno di avvertimento e minaccia. Ultimo atto di una tragica campagna, macchiata di sangue, che i sicari assoldati dai land-grabbing, gli accaparratori illegali di terreni, hanno scatenato contro gli Awá.

A causa di questi episodi e del rapido declino di questo popolo, quattro anni orsono, Survival International, l’associazione che difende i diritti dei popoli indigeni, ha dichiarato gli Awá “la tribù più minacciata al mondo”, lanciando una grande mobilitazione su scala globale che non si è ancora conclusa. Nel 2014, finalmente, il governo brasiliano, a seguito delle vibranti proteste internazionali, ha acconsentito alla delimitazione delle terre ancestrali degli Awà e ha intimato ai tagliaboschi illegali di andarsene.

Claudio Santamaria per la campagna "Save the Awà"A supportare la campagna dal motto “Save the Awá” anche molti personaggi dello spettacolo, tra cui l’attore italiano Claudio Santamaria e quello inglese Collin Firth, ma soprattutto tanti uomini e donne comuni, che dalla neve di Amsterdam ai muri dell’Australia, hanno scritto un po’ ovunque lo slogan e con mail, lettere, petizioni e tanto altro ancora hanno informato il ministro della giustizia brasiliano del loro sostegno alla lotta degli Awá.

Oggi questa tribù eccezionale può guardare con maggiore speranza al futuro e dimostrare concretamente che è possibile invertire il senso di marcia di una certa storia, violenta ed ipocrita, grazie al contributo di un vasto movimento d’opinione. Che la storia degli Awá possa dunque ispirare ogni popolo che, ovunque nel mondo, lotta per la propria libertà.

 

Leggi anche gli altri articoli delle rubriche #MorireDiCiviltà e #OltreLaCiviltà.

Visita la pagina di Survival International a sostegno degli Awá.

Un commento su “Awá: la vittoria della tribù amica degli animali

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