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di Francesco Merlino

 

Ora ci vorrebbe un pianoforte che suona Bach.”

No, fidati, ora è meglio il silenzio.”

Tommaso mi corresse subito e gli eventi gli diedero pienamente ragione.

Dopo molte ricerche e molte derive, fisiche e mentali, ho scoperto che esistono tanti mondi nella mia città, ho imparato ad amare ognuno di essi.

La maggior parte delle volte il limite tra un mondo e l’altro è impercettibile, è un limite mentale fatto di modi di pensare ed abitudini da indossare. Questa volta però il limite è fisico, è fatto di mura e costruzioni che delimitano, proteggono, nascondono, come atmosfera, una terra lontana ma vicina, al cui interno si respira un’aria diversa, si respira il silenzio.

Tommaso è la mia guida, il mio Virgilio e mi accompagna attraverso la scoperta di questo mondo che non si può capire né rispettare se non si è indirizzati da un sapiente cicerone. Tommaso è un frate, è simpatico, sorride sempre, senza sforzi, ed ha una serenità che mi disarma e mi devasta, mettendo in ridicolo anni di conclusioni troppo affrettate e convinzioni sconclusionate. Mi trovo all’interno del complesso del Convento di Monteripido, al di fuori di Porta Sant’Angelo, dove finisce il centro storico brulicante di vite e negozi (concedetemi un briciolo di fantasia) ed inizia il verde sterminato dei colli umbri, nel limbo strategico a metà tra l’azione e la vita contemplativa, tra la mondanità ed il romitaggio. Posizione non casuale, mi spiega Tommaso, ma studiata, mastodontica metafora dello spirito e del pensiero francescano.

E dentro queste mura c’è tanto della storia francescana.

Tutto nacque attorno alla piccola cappella dello “Scalzo Egidio”, come lo chiama Dante (Paradiso, XI 82-84), amico e confratello di San Francesco, che dopo la morte del Santo decise di ritirarsi lì in una vita di mistico ascetismo. Il resto del complesso si forma nei secoli successivi, come baluardo e protezione della cappella di Egidio, reliquia significativa delle origini dell’ordine. La chiesa è umile ma dignitosa, non barocca ma nemmeno sciatta, rispettosa dei dettami dell’ordine, ornata, in più, di alcuni capolavori tra i quali una “Adorazione della Croce” del Perugino (di cui oggi rimane una copia, l’originale cercatelo alla Galleria Nazionale dell’Umbria che pare sia ancora aperta), un trittico di Gerardo Dottori sulla vita di San Francesco, donato al convento dall’artista stesso ed un crocifisso quattrocentesco che nasconde, dietro la sua inaspettata pacatezza, una storia tormentata: riuscì a sfuggire alle razzie delle truppe napoleoniche che assalirono il convento solo dopo esser stato camuffato con vestiti vecchi e logori dai frati dell’epoca.

Storie che si sovrappongono ad altre storie fino a formare la Storia.

Ed ogni mattonella, ogni lembo di terra o mattone sembra sussurrartene. Ogni angolo, ogni dettaglio che ai miei occhi pare del tutto insignificante si rivela, alle parole di Tommaso, un’autentica scoperta.

Come un manifesto con su scritto “AVVISO D’ASTA” perso nel bianco infinito dei muri spessi. Il cimelio mi parla di nuovo attraverso la voce della mia guida.

Il convento, con il sopraggiungere delle ultime annessioni dei territori pontifici al Regno d’Italia, venne acquisito dallo Stato che ne sottrasse la proprietà alla curia. Almeno fino al 19 giugno del 1874, quando tre frati del monastero, vestiti in abiti borghesi, si presentarono all’asta con la quale lo Stato metteva in vendita il complesso di Monteripido e lo riacquistarono, dopo aver inscenato una finta bagarre a suon di offerte e controfferte, al prezzo di 22.300 lire.

Tommaso continua a stupirmi ed indottrinarmi ed io come un suo ingenuo Dante lo ascolto a bocca aperta e timido gli faccio domande per poi gettarmi su un taccuino mai aperto fino ad oggi ma dal quale questa volta non mi sento di poter prescindere.

D’altronde a Monteripido non si smette di imparare dal 1438, quando San Bernardino da Siena decise di istituirvi il primo Studium Generale dell’osservanza francescana d’Europa, sulla scia del successo dell’Università di Perugia, inaugurata nel 1308. Lo Studium fu punto di riferimento per studiosi e teologi provenienti da ogni dove, tra i quali Giovanni da Capestrano, giurista padre del diritto canonico, santificato nel 1690.

E forse la traccia più significativa che il tempo ha deciso di lasciare nel convento è proprio legata allo Studium Generale di San Bernardino e si nasconde dietro ad una lignea porta, imponente ma sobria, ancora una volta come da costumi francescani, decorata sulla sommità da una scritta: Bibliotheca excommunicatione munita contra extrahentes (che per una traduzione da sei meno è: sarà scomunicato chiunque venga sorpreso a rubare libri dalla biblioteca; e si sa, se c’è una legge c’è sempre un precedente).

Una, due, tre mandate e Tommaso riesce ad aprire.

Si apre un cubo magico dove ciò che prevale è il vuoto che intercorre mistico tra l’una e l’altra parete. Tutto intorno gli scaffali, che si rincorrono stanziali, sorreggono una collezione di circa 24.000 libri; i più antichi risalgono al sedicesimo secolo, altri, ancora più antichi (tra i quali una delle prime copie de “il principe” di Machiavelli, che oggi si trova alla biblioteca Augusta ed è riconoscibile per l’antica timbratura Bibliotheca montis Perusiae) sono stati presi e portati altrove dalle truppe che per varie cause e poteri hanno fatto scorrerie nel convento. La Biblioteca del convento è stata costruita nel diciottesimo secolo dall’architetto Piero Carattoli, nel luogo dove prima sorgeva lo Studium. Appena entrato spicca dinnanzi a me, sulla parete di fondo, la scritta “Non oculus mentibus esca” (che, mantenendo sempre lo standard del sei meno, sta a significare: nutritevi con la mente e non con gli occhi; monito, anche questo, in perfetto stile francescano, che ci ricorda che non è dello sfarzo del luogo che dobbiamo meravigliarci ma del sapere in esso contenuto).

All’alto soffitto di travi e mattoni, decorate da Paolo Fabrizi, ci si può avvicinare salendo sul ballatoio che corre tutto intorno al perimetro della biblioteca, al quale si accede, nemmeno fossi ne “Il nome della rosa”, attraverso un passaggio segreto tra gli scaffali che permette di sparire a piano terra e riapparire magicamente qualche metro più in su, sfruttando una porta altrettanto ben camuffata da libreria.

E tanto è lo stupore che prende stando all’interno di quello scrigno che non capisco, quando Tommaso scosta le tende ed apre la finestra che dà sul balcone, se sia Perugia, della quale si ha una sconfinata visione, ad essere contenuta all’interno della stanza o se sia la stanza ad essere parte, quasi insignificante, del paesaggio.

Credo che nessuna delle due contenga né sia contenuta dall’altra, credo si guardino negli occhi da secoli, come due mondi differenti che si trovano a coesistere, ognuno immaginando cosa ci sia nell’altro. Come il mio mondo e quello di Tommaso.

Forse ho sbagliato a scrivere tutto questo perché, aveva ragione Tommaso, un posto come Monteripido non si spiega a parole ma con le immagini ed il silenzio.

Chi non volesse venire fin qui può affacciarsi da Porta Sole e guardare Monteripido in faccia, provando ad immaginare che mondo nasconda al suo interno. Provando.

Alcuni scatti amatoriali del viaggio…

 

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