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di Francesco Merlino

#MidnightInVenice

Nella primavera del 1956 i ragazzi del conservatorio Benedetto Marcello di Venezia smisero tutti quanti all’unisono di suonare quando la voce si sparse per i corridoi.

Fioi ghe xe Stravinskij.
(Ragazzi c’è Stravinskij.)

Pensate a cosa succederebbe se Maradona si presentasse, senza preavviso, all’allenamento della squadra di quartiere:
tutti si fermerebbero, increduli, per un attimo, poi comincerebbero a palleggiare, dribblare, tirare come mai prima di allora, nel tentativo di farsi notare.
Così accadde quel giorno al conservatorio Marcello: alla notizia del suo arrivo ci fu un silenzio surreale, improvvisamente seguito da una melodica baraonda.
E probabilmente Stravinskij, che, al contrario di Maradona, non aveva l’aria di uno del popolo, tirò dritto, lasciandosi alle spalle le aule che strabordavano di musica, diretto senza indugio verso il suo pensiero: era lì alla ricerca del luogo giusto per la prima esecuzione della sua ultima opera, che, necessariamente, doveva tenersi a Venezia.

Nel film di Paolo Sorrentino “The Youth”, quando Paul Dano chiede a Fred Ballinger (compositore ormai ritiratosi dalle scene interpretato da Michael Caine) di raccontargli qualcosa su Stravinskij, lui gli risponde che era una persona pacata.
E non bisogna stentare a crederlo, perché Stravinskij portava da sempre gli occhiali tondi, e dalla notte dei tempi la vita dei ragazzi con gli occhiali tondi è segnata dalla timidezza.
Loro infatti lo sanno che sono destinati a finire negli armadietti se si espongono troppo e che la donna di cui sono follemente innamorati non l’avranno mai. Così sono tendenzialmente impacciati ed inciampano spesso nelle parole e sanno che cadranno più volte lungo il sentiero se tenteranno di dire “ti amo”. Per questo non lo dicono mai.
Ma le storie sui ragazzi con gli occhiali tondi ci insegnano anche un’altra cosa: che sono spesso molto intelligenti. E Igor Stravinskij, che portava sempre quel suo bel paio di occhiali, rotondi come fondi di bottiglia, sapeva bene che le parole sono solo suoni e che non sono gli unici in grado di trasmettere emozioni, né i più efficaci.
Così usò un astuto escamotage per dichiarare il suo amore a quella donna irraggiungibile che tanto amava, senza il rischio di incappare nella balbuzie.

Quel giorno di primavera del 1956 Stravinskij uscì dal conservatorio Benedetto Marcello in compagnia del Maestro del coro, Sante Zanon, e di qualche membro dell’orchestra. Andò prima alla Chiesa dei Frari, dove il coro eseguì qualche pezzo di musica sacra, poi a Santa Maria della Salute, ed infine in quello che sarebbe stato il luogo prescelto, la Basilica di San Marco, dove ad accoglierlo fu il patriarca Angelo Roncalli, che di lì a poco il mondo avrebbe conosciuto con il nome di Giovanni XXIII.

Così, sotto gli occhi dei Santi e di Cristo Pantocratore e con il futuro Papa di fianco, Igor Stravinskij fu folgorato dalla certezza che la sacralità di quel luogo fosse l’ideale per lasciarsi andare nella sua dichiarazione d’amore.
Il 13 settembre del 1956, in una notte senza luna ma con tante stelle, tante quante sono le tessere dorate dei mosaici di San Marco, Igor Stravinskij diresse di persona il suo Canticum Sacrum ad honorem Sancti Marci nominis, dedicato alla città di Venezia.

A 74 anni aveva finalmente trovato il modo per dirle ti amo.
Con i suoni della sua musica, l’unico modo che aveva di comunicare senza il rischio di balbettare.

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