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di Paolo Marchettoni

 

Gli editori indipendenti non sono morti e non sono nemmeno gelosi, vi assicuro che è così per tutti, ma nessuno ne parla. Si sente parlare spesso, invece, di crisi o addirittura trapasso dell’editoria cartacea; per questo in molti pensano già alla sepoltura. Probabilmente sono gli stessi che ci dicevano più di un anno fa: “Non potete fare un giornale di carta”, “La gente non legge più”; oppure: “Vendere un giornale oggigiorno è impossibile, voi siete pazzi!”.

Beh, che dire, avevano torto! Tutti. Il seppellimento ci sembrava, allora come oggi, prematuro, proprio come nel racconto di Emile Zola “I morti non sono gelosi”.

Prima di seppellire qualcuno bisogna compiere alcune operazioni basilari, come ad esempio, accertarsi del decesso. Il nostro esistere, insieme ad altre realtà, dimostra che non ci siamo arresi e che, pur lavorando e mangiando come tutti, continuiamo a rifiutare di ridurre la nostra esperienza nel mondo dell’editoria a meccanica funzione di sopravvivenza, o, ancor peggio, a banale operazione economica.

Abbiamo scelto di acquistare un’edicola a Perugia, sulle scalette di Sant’Ercolano, di fronte alla chiesa del santo patrono di cui porta il nome; così in caso di decesso la cerimonia religiosa sarà a portata di mano. Liberi da ogni imposizione, selezioneremo con cura i nostri prodotti editoriali, che per noi è una scelta doverosa e semplice, coerente e onesta, ma che nella tradizionale attività dell’edicola non è contemplata. Sarà la prima volta.

Un’operazione culturale a tutti gli effetti, che è possibile compiere nel periodo storico in cui viviamo soltanto se si è in grado di declinare l’invito, neanche troppo allettante, di una realtà meschina, priva di slanci vitali che non siano dettati da operazioni finanziare e dunque arida nelle sue intenzioni; realtà alla quale sono stati sottratti gli stimoli giusti, quelli che spingono a un’azione di ricercata qualità, al tempo stesso completamente svincolata dal sistema finanziario e del mercato tradizionale dei prodotti editoriali. Questa purificazione deve essere condotta attraverso un rovesciamento della prospettiva classica sul concetto editoriale (e della cultura in generale) con una rinnovata promesse de bonheur capace di restituire un giornale o un libro alla vita, scongiurando le isterie collettive di chi predica la morte del cartaceo. In un progetto editoriale-artistico come Emergenze si ha una duplice responsabilità: nei confronti dell’esperienza creativa dell’autore-artista e verso il suo fruitore, senza mai voler ridurre questa complessità ad un’unica dimensione.

Una complessità che, nella maggior parte dei casi, è stata sostituita con incoraggiamenti al successo dei famosi quindici minuti di popolarità che invocava Andy Warhol. Per evitare questa trappola si è scelto di balzar fuori con dei tuffi al contrario che smascherassero la bassa marea culturale imposta, oltretutto spacciata per un oceano di iniziative luccicanti, volte a placar gli affanni delle masse. A volte, più tristemente, ci si rassegna decidendo di prostrarsi agli eventi, piombando in uno stato di torpore e dolorosa sonnolenza in attesa della morte vera. Perché esiste anche quella apparente di morte; in cui si perdono coscienza e sensibilità insieme ai movimenti vitali e ai riflessi e un corpo può apparire morto pur essendo ancora in vita. Se dovessi fare la mia personale diagnosi sull’editoria cartacea, sarebbe questa: morte apparente causata da una perdita di coscienza volontaria. Finta perché auto indotta, ma senza breve durata né risoluzione spontanea.

Per fortuna c’è ancora chi riesce a vedere oltre il cinismo e l’impudenza sogghignante imposta dai nuovi eroi-filosofi del business e semplicemente sceglie di andarsene in un’altra direzione lucido o delirante. A Bellissima Fiera abbiamo visto che non siamo soli in questo percorso sovvertitore di agonie culturali e piramidi editoriali. Si può ripartire anche se si è stati rinchiusi in una bara prima del tempo e il finale sarà per forza imprevedibile!

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