CONDIVIDI

di Paolo Marchettoni

 

Milano, sabato 6 febbraio 2015, ore 15

Ero a Milano insieme a Irene e Antonio per salutare vecchi amici e incontrare nuove persone, ma soprattutto per partecipare a un evento che, per chi crede nel destino, si era configurato come un avvenimento imperdibile e dunque segnale di una certa ineluttabilità di ciò che si appresta ad accadere.

Il primo appuntamento del nostro pomeriggio, con gli amici Antonio, Valentina, Giangiacomo e Matilde, sarebbe stato alle 16:20 in piazza Mentana, alla galleria d’arte Twenty14 Contemporary; mancavano ancora ottanta minuti.

Antonio, voltandosi verso di noi, disse: “Siamo vicini alla mia vecchia Università”. Irene annuendo aggiunse: “E’ vero. Mi ricordo come se fosse ieri il giorno della tua laurea”. Di nuovo Antonio, questa volta verso di me, riprese il discorso: ” Tu, ci sei mai stato da queste parti? Questa zona di Milano è molto bella”. E io, che a dire il vero senza di lui non sono mai stato da solo in nessun posto a Milano eccetto San Siro, risposi: “No, però mi fido. Andiamo”.

Giunti a destinazione trovammo il portone dell’Università Cattolica del Sacro Cuore chiuso: colpa del destino o del caso? Di nessuno dei due; in realtà, come noto, il sabato le università in Italia sono chiuse, quindi semmai la colpa era tutta nostra e di quelli come noi che sperano sempre di creare un varco, credendo che persino in Italia possano cambiare le cose.

“A questo punto, propongo di fare una visita alla Basilica di Sant’Ambrogio. E’ fondamentale” suggerì Antonio, spezzando il silenzio intorno a noi. Questa volta ci incamminammo senza aggiungere altro. Un po’ per evitare di andare avanti con in cuore quella solita trista e oscura aspettativa, come diceva Manzoni, ma, soprattutto, perché quando il Sacerdote dice che qualcosa è fondamentale bisogna avere fede senza discutere affatto.

Arrivati alla chiesa l’abbiamo visitata insieme, come ci è capitato spesso negli ultimi mesi. Qui la nostra vita si è intrecciata con la storia dei santi Gervasio e Protasio, di cui la chiesa di Sant’Ambrogio contiene le reliquie. Vi spiego perché.

Della leggenda da uomini di Gervasio e Protasio, figli dei patrizi romani ravennati e santi Vitale e Valeria, conosciamo ben poco; non sappiamo quando nacquero esattamente, né di conseguenza il periodo in cui vissero. Della loro fortuna da santi siamo ben più consapevoli, in quanto il loro patronato si estende a trenta città italiane, da Milano in Lombardia a Città della Pieve nella nostra Umbria, e il loro culto è diffuso in varie parti della Penisola.

Le fonti che ripercorrono le vicende della Chiesa milanese non aiutano a far chiarezza sulla corretta collocazione temporale della vita di queste figure testimoni della cristianità.

Secondo alcuni testi, i due fratelli gemelli avrebbero vissuto durante il breve, ma intenso, principato di Nerone (54-68); l’imperatore romano, noto ai più per le sue scelleratezze e per aver fatto massacrare due o trecento cristiani più o meno sconosciuti, condannati al termine del processo indetto dopo il famoso incendio di Roma del 64, sarebbe responsabile, secondo la tradizione cattolica, anche della morte di due cristiani ben più conosciuti: San Paolo di Tarso e San Pietro apostolo di Cafarnao; decapitato il primo, crocifisso il secondo.
Da altre fonti, risulta più probabile che i nostri due santi siano vissuti a metà del III secolo, ma comunque perseguitati e uccisi durante i principati di Decio, Valerio, o Diocleziano; ad ogni modo, non troppo distanti cronologicamente da sant’Ambrogio, che visse fra il 339 e il 397 (il che gli avrebbe consentito di ritrovare i loro corpi in buono stato di conservazione).

Nel 386 era stata ultimata la costruzione della Basilica Martyrum voluta da Ambrogio (che fu ribattezzata Basilica romana minore collegiata abbaziale prepositurale di sant’Ambrogio, dopo la morte del vescovo). I motivi della costruzione erano principalmente due: onorare la memoria dei martiri cristiani; e assicurarsi il favore delle folle, scongiurando così le pretese dei tantissimi ariani che richiedevano a gran voce l’assegnazione di una basilica milanese al loro culto.

Solo un miracolo avrebbe potuto aiutare il vescovo in una simile impresa; l’alternativa era quella di mettere le mani sulle reliquie di qualche martire cristiano, possibilmente miracolose.

E il miracolo avvenne.

Il 17 giugno 386, durante uno scavo nell’antica zona cimiteriale della città di Milano eseguito per volere di Ambrogio, riemersero dal terreno due corpi.
La zona in cui furono effettuati gli scavi era un antico luogo di sepoltura della città (che oggi si trova tra la caserma Garibaldi della Polizia di Stato e l’Università Cattolica) in cui erano stati sepolti molti cristiani, ammazzati dai Romani, poco distante dal posto in cui il vescovo aveva ordinato la costruzione della chiesa.

Naturalmente al momento del ritrovamento delle spoglie, le certezze furono poche; infatti nessuno poteva dare un nome a quei cadaveri, perché nessuno ne conosceva l’identità e la storia. I resti rinvenuti erano stati strappati dalla loro sepoltura senza indizi o ricordi che li legassero alla loro attività nel mondo in superficie; salme defunte, dimenticate, che erano state rimesse in piedi per farne delle reliquie. Erano tornate da morte per essere interrogate dai vivi sul da farsi. Degli interlocutori inquietanti per molti; degli ottimi difensori per Ambrogio e per la Chiesa che ancora oggi non disdegna pratiche materialistiche a supporto della spiritualità (basti pensare alla traslazione per il Giubileo della reliquia di Padre Pio e al sacro entusiasmo con cui fedeli hanno accolto a Roma la teca contenente la salma del frate cappuccino).

Quando sei considerato uno dei padri della Chiesa cristiana una rivelazione o un tuo presentimento possono far luce, al pari di una prova del DNA, su quell’insieme di caratteristiche sconosciute, ma pur sempre uniche, che attestano l’identità di qualche martire o, meglio ancora, l’autenticità di qualche reliquia. Così, senza perdere tempo, Ambrogio, certo del suo presagio, annunciò al popolo che le reliquie rinvenute erano quelle dei santi Gervasio e Protasio, e ordinò la traslazione dei corpi dei martiri all’interno della nuova basilica, introducendo per la prima volta nella Chiesa occidentale la fortunatissima pratica della traslazione delle reliquie di santi e martiri a scopo liturgico, secondo quanto era già in uso in oriente. Così, il 19 giugno del 386 furono celebrati i santi martiri Gervasio e Protasio e la basilica fu finalmente consacrata.

Il miracolo poteva dirsi compiuto.

Come si diceva all’inizio, i santi Gervasio e Protasio sono anche i patroni del mio paese natio. Monsignor Fiorenzo Canuti (1876-1968), canonico della cattedrale di Città della Pieve intitolata ai due martiri fratelli gemelli, nonché letterato e studioso di vicende religiose, artistiche e di storia locale, in un passo del suo celebre libro del 1926 Nella patria del Perugino, parla dei due santi patroni della città, ricordandoci che: “Per quanto fosse antico in Città della Pieve il culto dei SS. Gervasio e Protasio, non era mai stato possibile avere qualche reliquia di questi gloriosi Santi, e non è a dire quante richieste erano state fatte a Milano e altrove. Nel 1714 si potè ottenere qualche frammento delle costole dell’uno e dell’altro Santo….. Nel 1739, inoltre, il Canonico Vistremondo Padroni ottenne da Napoli la reliquia del sangue fluido di S. Gervasio….” .

Resta dunque legittimo chiedersi: al di là dell’autenticità, chissà qual’è la storia delle altre reliquie presenti in questo e tanti altri luoghi di culto in Italia e nel mondo? E’ incredibile pensare che dietro a ognuno di questi corpi o oggetti appartenuti a qualche santo o martire si celi una vicenda umana che lega tante vite e altrettanti morti.

Con la speranza di aver appassionato il lettore a questo racconto leggendario, storico e miracoloso al tempo stesso, riporto di seguito alcuni paragrafi significativi della Lettera 77, con la quale Ambrogio annunciò nel 386 alla sorella Marcellina (anch’essa santa) il ritrovamento delle reliquie dei santi Gervasio e Protasio.

Desidero tali difensori: ho con me i soldati di Cristo

Poiché sono solito non tacere, alla tua santità, nulla di quanto avviene qui in tua assenza, sappi anche che abbiamo ritrovato i santi martiri. Infatti, dopoché avevo consacrato una basilica, molti – come ad una sola voce ­­– cominciarono a sollecitarmi dicendo: “Dovresti consacrare questa basilica, come hai fatto per quella di Porta Romana”. Risposi: “Farò così, se troverò reliquie di martiri”. E subito penetrò in me come l’ardore di un presagio.

In breve: il Signore mi concesse la grazia. Nonostante che lo stesso clero manifestasse qualche timore, feci scavare la terra nella zona davanti ai cancelli dei santi Felice e Nabore. Trovai indizi probanti; con l’aiuto anche di quelli cui avrei dovuto imporre le mani, i santi martiri cominciarono ad emergere, sicché, mentre rimanevamo ancora in silenzio, l’osso d’un avambraccio fu afferrato e deposto presso il luogo del santo sepolcro. Trovammo due uomini di straordinaria statura, com’erano quelli dei tempi antichi. Tutte le ossa erano intatte, moltissimo era il sangue. Per tutti quei due giorni ci fu un immenso concorso di popolo. In breve: le profumammo tutte, l’una dopo l’altra, e quando ormai era imminente la sera, le trasportammo nella basilica di Fausta; lì, si vegliò l’intera notte e si compì l’imposizione delle mani. Il giorno seguente le trasportammo nella basilica che chiamano Ambrosiana. Durante la traslazione un cieco fu guarito.

Io rivolsi al popolo questo discorso: “Guardate alla mia destra, guardate alla mia sinistra le sacrosante reliquie: voi vedete uomini che hanno vissuto come si vive in cielo; guardate i trofei di un animo sublime: questi sono i cieli che narrano la gloria di Dio, queste le opere delle sue mani, che annunciano il firmamento. Infatti, non le lusinghe mondane, ma la grazia dell’azione divina li ha innalzati al firmamento del loro sacratissimo martirio, e molto prima – con le manifestazioni della loro condotta e delle loro virtù – ne preannunciò il martirio, poiché rimasero saldi di fronte alla lubricità di questo mondo.

Quali altri dobbiamo stimare capi del suo popolo, se non i santi martiri? Nel numero di questi, dopo essere stati a lungo ignorati, vanno innanzi Protasio e Gervasio, che con i meriti del loro martirio hanno allietato la Chiesa milanese: sterile di martiri, benché madre di moltissimi figli.

Avete visto con i vostri occhi che molti sono stati liberati dai demoni; inoltre, che moltissimi – non appena toccata con le mani la veste dei santi – sono guariti dalle infermità che li travagliavano; vedete che si sono rinnovati i miracoli del tempo antico nel quale, in seguito alla venuta del Signore Gesù, una grazia più abbondante si era riversata sulla terra; che molti dall’ombra dei santi corpi – per così dire – sono stati risanati. Quanti fazzoletti vengono di continuo lanciati, quante vesti, sulle veneratissime reliquie e, solo per averle toccate, sono ripresi capaci di guarire. Tutti sono paghi di toccarle, sia pure da lontano; e chi le toccherà, riavrà la salute.

Ti ringrazio, Signore Gesù, perché hai suscitato per noi gli spiriti così potenti di questi santi martiri, in un momento in cui la tua Chiesa sente il bisogno di più efficace protezione. Sappiamo tutti quali difensori io cerco, capaci di proteggermi ma incapaci di offendere. Tali difensori io desidero, tali soldati ho con me; non soldati del mondo, ma soldati di Cristo. Per tali difensori non temo alcun risentimento, perché la loro protezione è quanto più potente tanto più sicura. Voglio che essi difendano anche quelli che me li invidiano. Vengano, dunque, e vedano le mie guardie del corpo: da tali armi non rifiuto di essere circondato. Gli uni per i carri e gli altri per i cavalli, noi invece saremo esaltati nel nome del Signore Dio nostro (Sal 19,8).

Queste nobili reliquie sono tratte da un sepolcro indegno di loro e, come trofei, sono mostrate al cielo. Il tumulo è intriso di sangue, appaiono i segni del loro sangue di trionfatori, i resti sono stati trovati intatti al loro posto in buon ordine, il capo staccato dal tronco. Ora, i vecchi vanno dicendo di aver sentito in passato nominare questi martiri e di averne letto l’iscrizione funebre. Questa città aveva perduto i propri martiri, mentre aveva sottratto quelli altrui. Sebbene questo sia un dono di Dio, tuttavia non posso negare la grazia che il Signore Gesù ha concesso ai tempi del mio episcopato; poiché non merito di essere martire io stesso, vi ho procurato almeno questi martiri.

Queste vittime trionfali si avanzano verso il luogo dove Cristo è offerta sacrificale. Ma Egli, che è morto per tutti, sta sull’altare; questi, che sono stati riscattati dalla sua Passione, staranno sotto l’altare. Questo posto io avevo scelto per me, perché è giusto che un vescovo riposi dove era solito offrire il sacrificio; ma a queste vittime sacre cedo la parte destra: questo luogo era dovuto ai martiri. Riponiamo, dunque, le reliquie sacrosante, collocandole in una sede degna di loro, e festeggiamo questo giorno con fedele devozione”.

 

Lascia un commento

La tua mail non verrà pubblicata, * campi obbligatori