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Quella che segue è la sesta e ultima parte del diario, scritto da Soledad Nicolazzi, sul viaggio in Etiopia, attraverso laboratori e messe in scena, di “Miraggi Migranti”, spettacolo teatrale che nasce dal sogno artistico e umano di Alem Teklu, scultrice etiope.

di Soledad Nicolazzi

Miraggi in tigrai

Arrivo un giorno prima delle altre, perché non c’erano abbastanza posti in aereo.
Appena scesa capisco subito che mi trovo in una realtà diversa. Mekellè è una cittadina del nord, industriale, c’è l’università, la gente non va a cavallo o in calesse, la sensazione è che sia tutto un po’ più pulito e curato rispetto alle cittadine del sud che ho visto in questo viaggio. Le donne sono tutte in costume: oggi comincia Ashenda, la festa delle vergini, tutte le ragazze girano in gruppo per la città pettinate come delle regine e vestite in abiti tradizionali coloratissimi. Cantano, ballano, alcune suonano il tamburo. È una sorta di carnevale, andiamo nella strada principale dove dobbiamo proseguire a piedi, perché è gremita di donne che ballano in piccoli cerchi.
La madre di Alem mi aspetta con la cerimonia del caffè, non parla nessuna lingua a me conosciuta ma la lingua degli affetti non conosce barriere, e ci capiamo bene.

Quando le mie colleghe mi raggiungono andiamo all’università, dove faremo lo spettacolo tra qualche giorno. Il direttore ci accoglie con grande interesse, Il teatro è molto bello, peccato che ci accorgiamo presto che la strumentazione tecnica a nostra disposizione è più o meno quella che avevamo all’interno della tenda-teatro: sei quarzine non dimmerabili, due casse e qualche prolunga…
Ci vorranno parecchi giorni prima di riuscire a mettere insieme tutto, anche perché spesso manca il ragazzo che ci deve aprire lo spazio oppure alcuni pezzi della tecnica vengono usati durante le lezioni del dipartimento di musica e spettacolo…
Per fortuna siamo ormai allenate e pronte a tutti gli imprevisti, Valentina sta portando avanti le interviste, Alem sta facendo molta pubblicità e tutto sembra procedere per il meglio. Facciamo anche una breve comparsa su un grande palco montato in occasione della grande festa, ci sono migliaia di donne in piazza ed è molto divertente.
La tensione degli scorsi giorni provata nel Bale qui si sente da lontano: Alem mi spiega che in Tigrai pochi osano rompere la cortina del silenzio. Ma Feysa Lilesa, un giovane maratoneta Oromo, alle olimpiadi di Rio mostra i pugni alzati in segno di protesta e anche se in nessun canale televisivo la scena non viene riportata la gente comincia a scrivere, sui social. Tra questi Girmai, un amico di Alem, giornalista dissidente e scrittore, che conosciamo presto e che si rivela subito molto prezioso: ci aiuta a tradurre il testo del volantino, a metterci in contatto con televisoni locali, si propone come facilitatore per la discussione prevista dopo lo spettacolo…
Finalmente viene il giorno della prima, la gente arriva con un po’ di ritardo ma il teatro è quasi pieno…ci saranno cinquecento persone. Alem è carica di emozione, in sala oltre a tutti i suoi familiari e amici ci sono molti giornalisti, studenti, professori, artisti…
Lo spettacolo procede molto bene, e in sala c’è un grande silenzio.
Appena finito, nella discussione sapientemente guidata da Girmai, parlano in tanti. La prima è una giovane donna che ci racconta con trasporto di come sia appena tornata da un viaggio durato dieci anni che l’ha vista protagonista di vicende analoghe a quelle che abbiamo raccontato. Ribadisce quanto sia importante che si cominci a parlare, finalmente, di quanta centralità abbiano i trafficanti, anche quelli etiopi, in tutta questa storia.
Poi ci sono le interviste per la televisione locale, le foto, gli abbracci, i saluti… e tutto corre veloce, domani io e Alessandra torniamo in Italia….

Mentre lascio la città mi torna in mente la scena in cui Alem dipinge la grande barca, l’energia che trapelava dal suo corpo e il silenzio catartico in sala. E capisco davvero le parole dette da Ibraim, l’artista di Goba: non si tratta “solo” di informazione. Miraggi Migranti, qui, apre lo spazio per un’elaborazione emotiva dell’esperienza migratoria.

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Il testo della scena “Vanno via come un fiume”
Mente: Vanno via come un fiume
Betti: se uno ha tutto non va se invece gli manca qualcosa parte
Sancho: se non mi piace la politica io me ne vado
Mente: non ha senso dire non bisogna andare via: alle volte è necessario
Mrtzar: se c’è una guerra allora è meglio partire
Josef: se parti guadagni poco ma puoi cambiare la tua vita e aiutare chi resta
Adamu: se sei pronto a morire puoi andare
Faisa: quando migri pensi a due cose: vivere o morire
Abdi: penso che se arriviamo lì è bellissimo
Tzta: se c’è una possibilità di andare io vado
Feizu: qui non vivo bene e neppure lì
Bifa: anche gli animali migrano
India: perché abbiamo studiato? Qui non riusciamo a lavorare
Seifu, Tgst: anche il Nilo emigra
Feizu: gli animali vivono dove vivono, se non c’è acqua si spostano dove l’acqua c’è
Baba: se vinco alla lotteria vado
Faisa: se vado in un altro posto non so la lingua e la cultura sto male
Sancho: non voglio andare: come giochiamo qui non giocano altrove
Baba: vogliamo andare a Robe perché si lavora di più, ma questo succede perché qui non abbiamo lavorato.
Jonas: la terra è di tutti siamo noi che l`abbiamo divisa

Questi i link della prima, della seconda, della terza, della quarta e della quinta parte:

https://www.emergenzeweb.it/2016/11/miraggi-migranti-etiopia-diario-un-viaggio-teatrale/
https://www.emergenzeweb.it/2016/11/miraggi-migranti-diario-di-un-viaggio-teatrale-in-etiopia-2/
https://www.emergenzeweb.it/2016/12/miraggi-migranti-in-etiopia-3-linferno-prima-del-sogno/
https://www.emergenzeweb.it/2016/12/7259/
https://www.emergenzeweb.it/2016/12/miraggi-migranti-in-etiopia-5-il-leone-non-deve-morire/

the end

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