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Né per denaro, né per hobby. Gli atleti dell’Olimpiade Popolare facevano sport per cambiare la società. Per questo presero le armi contro il fascismo a difesa della Repubblica Spagnola.

Ci sono due modi di vedere e praticare lo sport. Da una parte lo sport come competizione estrema, come spazio di battaglia tra gruppi umani, come luogo di rivendicazione dell’appartenenza a una polis, a una nazione, a un impero. Lo sport come scontro fisico, anche mortale. Lo sport come palcoscenico per pochi eletti, con un pubblico che non partecipa ma acclama, che non vive l’agonismo ma lo osserva. Lo sport come distrazione e argomento di chiacchiere da bar. Lo sport solo per le elite, tanto atletiche che di classe. Dall’altra lo sport come momento di aggregazione e di socialità, come dimensione della fratellanza e del rispetto reciproco, come spazio per mettersi alla prova senza calpestare gli altri. Lo sport per la gente comune, lo sport popolare, quello praticato da tutti senza restrizioni di censo, etnia, orientamento sessuale.

Oggi purtroppo questo secondo modo di concepire l’attività sportiva va svanendo. Rimane lo sport come passione o come hobby e soprattutto come business per atleti super pagati e società in perenne ricerca di denaro. Ormai molto raramente si pensa allo sport come arena di una lotta molto più importante di quelle che si combattono tra le corde di un ring o sui tatami del judo. Una lotta tutta ideale. In passato però ci sono stati atleti che hanno considerato il correre su una pista o il nuotare in una vasca qualcosa di più alto di un mezzo per fare soldi o di un tentativo di superare i propri limiti. Lo hanno considerato un momento di lotta e di emancipazione sociale.

Furono questi uomini e queste donne a dare il via alla straordinaria storia dell’Olimpiade Popolare.

Correva l’anno 1936. In agosto si sarebbero dovute tenere i Giochi olimpici in Germania. La propaganda nazista li avrebbe ampiamente sfruttati per celebrare il regime e la superiorità agonistica degli atleti ariani. Sorse così un vasto movimento, fuori e dentro lo sport, che invitava a disertare Berlino per dare un forte segnale di dissenso nei confronti del regime di Hitler. In questo clima, nella Repubblica spagnola, dove da febbraio al governo c’era il Fronte Popolare, nacque l’idea di organizzare un’olimpiade alternativa: l’Olimpiade popolare.

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Manifesto delle Olimpiadi Popolari.

Si trattava in primo luogo di una rivincita nei confronti del Comitato Olimpico che nel 1931 aveva preferito la capitale tedesca a Barcellona. De Cubertin era più spaventato dalle tensioni rivoluzionarie che attraversavano la penisola iberica che dall’affermarsi del partito nazista in Germania e così Berlino aveva vinto sulla città simbolo della Catalogna. Decisione che non era stata riconsiderata nemmeno dopo l’ordine di Hitler, salito al potere nel 33’, di revocare le medaglie agli atleti non ariani e di bandire gli sportivi di origini ebraica dai giochi del 36’.  In secondo luogo, ovviamente, si trattava di sostenere il boicottaggio dei giochi di Berlino, e lanciare una vasta campagna antifascista anche nel mondo sportivo. Ma soprattutto l’Olimpiade Popolare doveva diffondere una nuova idea dello sport. Un’idea di agonismo priva di competizione esasperata, di richiami ai valori nazionali, di contrapposizioni feroci tra atleti di diversi paesi. Priva insomma della retorica, più o meno appariscente, che accompagna ancora oggi gli eventi sportivi internazionali. Si voleva rappresentare il mondo dello sport come luogo di fratellanza e incontro, come spazio della condivisione ideale, come arena di rivendicazione di diritti sociali e politici. Contro il professionismo e le sue pericolose derive. Prova ne erano i manifesti che spiccavano in tutta Barcellona nel luglio del 1936, in cui tre olimpionici di diversa etnia tenevano la stessa bandiera per celebrare il nuovo spirito olimpico.

Almeno seimila atleti, provenienti da 23 paesi, si iscriveranno all’Olimpiade Popolare. I più numerosi saranno i francesi, che in patria avevano animato una delle contestazioni più forti contro i giochi di Berlino. Ci saranno atleti italiani e tedeschi scelti tra gli esiliati dai regimi. Ma anche africani, belgi, inglesi, svedesi e americani si metteranno in cammino verso Barcellona. Tutti animati dalla stessa volontà di cambiamento sociale e di lotta al fascismo.

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Ritratto della nuotatrice anarchica Clara Thalmann-Ensner.

Tre giorni prima della data d’esordio dell’Olimpiade Popolare, il 19 luglio, secondo alcuni proprio per impedire l’inizio di quelli che erano stati soprannominati i “giochi antifascisti”, vi sarà il tentativo di colpo di stato di Francisco Franco. È l’inizio della Guerra Civile Spagnola. L’Olimpiade Popolare deve essere cancellata, ma non si possono cancellare gli ideali che hanno portato migliaia di atleti a Barcellona. E infatti moltissimi scelgono di restare e dopo aver combattuto il fascismo nello sport decidono di farlo nei campi di battaglia di tutta la Spagna. È il caso ad esempio di Clara Thalmann-Ensner, nuotatrice svizzera ed anarchica, che aderì alla Colonna Durruti, oppure di Emmanuel Mincq, calciatore di origini ebraiche che si arruolò nel Battaglione Thälmann e poi nella brigata Dabrowski, o ancora degli italiani che entrano in massa nel Battallon de la Muèrte. Non mancano ovviamente anche parecchi atleti di casa, come Eduardo Vivancos, che scelgono la causa antifascista.

Mentre tanti sportivi aderiscono ai reparti volontari in difesa della Repubblica prende il via l’Olimpiade in Germania. Nonostante le grandi mobilitazioni internazionali, le proteste vibranti delle leghe dei lavoratori, gli appelli delle più importanti associazioni ebraiche,  gli unici paesi a disertare Berlino saranno l’Unione Sovietica e appunto la Spagna. Così mentre le delegazioni olimpioniche di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti passano in rassegna davanti al Führer, i loro governi abbandonano la Repubblica Spagnola alla suo triste destino. Viceversa Hitler e Mussolini invieranno uomini ed armi a Franco, segnando in modo decisivo le sorti del conflitto.

La Repubblica cadrà il 1 aprile del 1939, molti atleti moriranno per difenderla. I sopravvissuti entreranno nei movimenti di resistenza nazionali e continueranno a combattere il fascismo in tutta Europa. Ricorderanno per tutta la vita quel nuovo spirito olimpico che si poteva respirare in ogni angolo di Barcellona in quel luglio del 1936.

Matteo Minelli 

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