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di Antonio Cipriani

Epiche narrazioni dalla mia vita sabauda. Con questa frase ho introdotto il pezzo, che spero possiate leggere, sulla piola stupenda sardo-piemontese a Torino, il Bar Pietro. Un luogo di culto e amore. Dove Emergenze è presente da prima dell’estate con i suoi meravigliosi giornali e con un’attesa. Qui dobbiamo fare un incontro bello, parlare del giornale, dei progetti che facciamo e che faremo: intorno a un tavolo, bicchiere a portata di mano, formaggi sardi e uova sode. I pensieri creativi vengono meglio. Eccoci, arriviamo. Nel frattempo, cari lettori di Emergenze, scoprite di che cosa parliamo quando parliamo del Bar Pietro.

Il Bar Pietro è una piola? Beh sì, mi risponde Mara, una simpatica frequentatrice di questo frammento di poesia urbana che sta in via San Domenico 34, a Torino. È una piola sardo-piemontese. E dentro, seduti davanti a un bicchiere di Dolcetto, si può osservare in controluce il mondo a partire dal 1968. Poche modifiche all’interno, forse nessuna. Arredamento stupendo, di quella semplicità onesta, senza accomodamenti né finzioni. Libri, opere d’arte, cucina casalinga, grandi bevute e cin cin a tutto quello che la creatività può tirare in ballo in una serata di magia.

Poi si danza, si spizzica, si gioca a carte in spazi ristretti, tra la strada e il bancone, senza paura. Uno addosso all’altro in una perdita di distanze che dà al cuore speranza.

Premessa doverosa. Non si tratta di pubblicità, non ne ha bisogno. Anzi, avendo avuto l’onore di far parte dei brindisi e degli abbracci, sarebbe quasi meglio che non cambiasse la clientela. Che non diventasse mai modaiola la piola di Pietro. Quindi non dirò che si beve bene e si paga il bicchiere, senza quelle sofisticazioni da fighettame da happy hours. Si chiacchiera: del tempo, della vendemmia, del Toro, della poetica espressa dall’Esule Venetiko che insegna Storia moderna all’università e disegna opere splendide con i gessetti, dello spritz importato da Santa Giovanna da Venezia, dei mille progetti che affollano la testa di ognuno degli avventori.

Grandi bevitori, sognatori, giocatori, innamorati, nell’attesa che la serata riservi una gioia, sapendo che la gioia è questa attesa di ogni sera. Ci trovi l’Aldino, Michelone col suo ufficio volante della Juve, Gianni il grande, l’avvocato, l’idraulico e l’architetto. Ci va a scrivere i suoi racconti Manu. Giorgia gioca a carte e le partite sono furiose e meravigliose. Con cento consiglieri col bicchiere in mano, mille battute e i giocatori concentrati come fossero sulla luna e non nel cuore della piola ruggente. Ci si scambiano i libri e si leggono giornali d’avanguardia perché nel cuore sessantottino del Bar Pietro tutto è avanguardia, tutto è un passo avanti, ogni cosa profuma di rivoluzione.

Che poi ognuno si gioca la sua, nell’attesa che il tempo cambi e l’aria buona delle Alpi faccia respirare questi cuori impavidi. Ieri fuori dalla fabbrica, prima ancora nelle valli montane. Domani chissà.

Così c’è chi continua a vestire imperterrito l’eskimo. Chi chiama con voce tonante Il Vecio, chi prima di andarsene a casa va dietro al bancone e bacia Pietro e sua moglie Paola. Chi la benedice, chi chiede lumi sulla fregola con il brodo di pecora o il ragù del giorno dopo. Quando si ricomincerà una nuova giornata, che per alcuni la piola è l’ufficio, per altri casa, un posto dove sorridere e mangiare insieme quello che preparano Paola e Santa Giovanna. Un mondo che gira intorno al civico 34. Dalla mattina alla sera. Che se non ci fosse, Torino sarebbe peggiore, meno felice sicuramente. Meno poetica, meno artistica, nel suo cocciuto understatement sabaudo che non tiene in alcun conto la proposta ufficiale, amando ricercare nei luoghi meno ovvi le perle della bellezza: quello che non ti aspetti e ti appare come un mistero e una visione, come impossibilità che si materializza e ti sussurra nell’orecchio la voglia di non arrendersi. Perché oltre alle catene tutte uguali, ai format, alla bruttezza preconfezionata e scintillante c’è di più. C’è questa piola ribelle. Occupata per mesi da bevitori in assetto di spritz, da artisti capaci di fermare il traffico con le loro azioni epocali. Una su tutte, bellissima: una scena del crimine disegnata a terra col gessetto bianco mostra la figura della vittima, stramazzata con un bicchiere di vino rosso in mano. Due turisti bolognesi passano sul marciapiede, si fermano e cambiano strada. Per non calpestare l’opera del madonnaro della scena del crimine o per paura di essere coinvolti nell’inchiesta perché non si sa mai? Chi potrà mai saperlo. Noi no.

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0 commenti su “Vino rosso e uovo sodo: Torino, arriviamo

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