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di Matteo Minelli

 

Biologi, paleontologi e svariati uomini di scienza sostengono che ci troviamo nel bel mezzo della Sesta Estinzione.

Per farla breve, la Terra, nel corso della sua lunghissima storia, ha vissuto cinque grandi estinzioni; nella più recente, avvenuta sessantacinque milioni di anni fa, furono i dinosauri a fare una brutta fine.

Il dibattito sulle cause di tali sciagure di massa (in un caso sembra che addirittura il 95% di tutte le specie viventi fu spazzato via dalla faccia del pianeta) è assai articolato e prevede teorie di ogni sorta. Asteroidi, eruzioni vulcaniche, inadeguatezze evolutive, ere glaciali e riscaldamento globale: tutto ciò può aver contribuito per ben cinque volte negli ultimi cinquecento milioni di anni a mettere in pericolo quel miracolo chiamato vita. Sfortunatamente delle antiche estinzioni sappiamo ancora troppo poco per individuarne con certezza cause e dinamiche. Al contrario sulla Sesta Estinzione, proprio perché la stiamo vivendo, abbiamo molte più informazioni.

In primo luogo sappiamo che trentamila specie si estinguono ogni anno (Harward University) su una varietà totale di 1.400.000 forme di vita esistenti in natura, e in seconda battuta conosciamo perfettamente la causa sostanziale di questa catastrofe: l’homo sapiens.

Ovviamente qualcuno, arrivato a questo punto del discorso, allargherà le braccia e dirà “sti-cazzi”, ritenendo che queste siano stupidaggini di cui si interessano ecologisti pazzoidi, donnicciole, anime belle e via discorrendo. Sono sicuro che costoro non sarebbero affatto toccati se gli dicessimo che preservare la biodiversità è qualcosa che dobbiamo al miracolo della vita, che la nostra razionalità dovrebbe spingerci a difendere ogni essere che “cammina” sul pianeta, che dovremmo rispettare l’ambiente che ci è stato donato; sono certo che neppure citando Gandhi, il Dalai Lama e perfino l’ultima enciclica del papa li convinceremmo a muovere un solo dito.

Tale menefreghismo, che non è certo limitato al mondo dell’analfabetismo e dell’ignoranza popolare, si nutre di un solido pregiudizio. La maggior parte dell’umanità  ritiene che la nostra specie sia, per qualche sorta di mistica ragione, esente dal virus dell’estinzione, che vivrà fino allo spegnimento del Sole o che addirittura, Interstellar docet, colonizzerà nuovi e magnifici mondi.

Ebbene, mi duole dirlo a coloro che nutrono queste rosee illusioni, non sfuggiremo alla regola della vita. Al di là delle messe in scena hollywoodiane, delle fantasie schizofreniche di certi scienziati e delle teorie antropocentriche del mullah Omar, di Calvino, del rabbino capo e di Tommaso d’Aquino,  noi uomini, esattamente come gli aranci profumati e le puzzolenti cimici, nasciamo, cresciamo e ce ne andiamo. Tanto come individui, tanto come specie. Questa è una regola, non aggirabile, esattamente come lo sono la gravità e il principio di relatività.

E se continuiamo a fregarcene ben presto la legge della vita ci darà prova di essere infallibile e scarsamente misericordiosa. Citando il malefico Saruman: l’era degli uomini sta finendo, l’estinzione si avvicina.

I profeti dell’Apocalisse sono sempre esistiti, e piaccia o non piaccia hanno anche ottenuto un certo seguito, ma non possiamo certo tacciare eminenti uomini di scienza come Richard Leakey, Pierre Sellers, Gerardo Ceballos di essere dei moderni Jan Mattys, dei predicatori impazziti che annunciano il Giudizio Universale e la nuova Gerusalemme.

Anche perché il nostro pianeta e parte dei suoi abitanti non sono affatto in pericolo. La Terra ovviamente ci sopravviverà e con essa moltissime specie. Tantissimi vegetali e animali poco “flessibili”, vedi la maggior parte dei mammiferi e molti altri vertebrati, saranno trascinati con noi nell’oblio, ma non riusciremo di certo ad annientare quel miracolo chiamato vita. Gli insetti ad esempio, che da soli rappresentano la metà dell’intera vasca genetica, hanno resistito senza problemi a Cernobyl e Fukushima e pertanto resisteranno in surplace al prossimo secolo e probabilmente saranno seduti sulla riva del fiume a guardare inabissarsi il cadavere della specie umana.

Ogni anno 18 milioni di ettari di foreste se ne vanno in fumo ( Global Forest Watch), 250.000 km quadrati di oceani sono diventate aree senza vita (Global Ocean Commission), il 43% del globo è prossimo alla desertificazione (ONU), entro quindici anni la disponibilità di fonti idriche calerà di oltre il 40% (World Water Developement), i ghiacciai si sciolgono, la temperatura sale, l’erosione dilaga e gli ecosistemi collassano; abbiamo perfino varcato tre dei cosiddetti limiti planetari (cambiamento climatico, perdita della biodiversità, alterazione del ciclo dell’azoto), ovvero quelle soglie oltre le quali si aumentano vertiginosamente i rischi di disastri ambientali su scala globale, eppure la maggior parte degli uomini si domanda: siamo proprio sicuri che sia tutta colpa nostra? Come possiamo dire con certezza che il baratro si stia avvicinando inesorabilmente?

Ora, come nessuno è in grado di dimostrare con assoluta sicurezza che entro cento anni da oggi tutto ciò che siamo abituati a chiamare Civiltà sarà sprofondato nella dimenticanza, allo stesso tempo nessuno è in grado di dimostrare con assoluta sicurezza che fumando due pacchetti di sigarette al giorno si finisce per morire di tumore ai polmoni, ictus o infarto. Eppure i nostri medici ci invitano a non farlo, poiché è ragionevole pensare che possa accadere. E restando nella metafora, non ci dicono di fumare meno, di fumare poco, di fumare con moderazione, ci dicono di evitare assolutamente di fumare.

Pertanto, il non essere in grado di determinare con precisione millimetrica quanti danni stiamo facendo e quando le conseguenze dei nostri misfatti daranno il via definitivo all’ecatombe umana, non ci esime dal prendere atto che avverrà e ne che ne saremo travolti.

Altrimenti parafrasando Paul Ehlirch reciteremo la parte di chi, mentre la biblioteca genetica del mondo è in fiamme, si rifiuta di chiamare i pompieri perché non conosce con certezza la temperatura del fuoco e se siamo stati noi ad appiccare fino all’ultimo rogo.

È verosimile ritenere che sia l’homo sapiens l’unica causa della Sesta Estinzione, è assolutamente certo che ne sia l’artefice principale. Ed è altrettanto certo che faremo la fine delle altre 30 miliardi di specie che sono vissute sul pianeta e che poi sono scomparse. Tuttavia forse siamo ancora in tempo per non essere menzionati ironicamente nei libri di qualche razza aliena come “l’homo sapiens, la specie che è sopravvissuta sulla Terra meno dei dodo”.

Mediamente infatti ci vogliono quattro milioni di anni affinché una forma di vita percorra la sua storia e finisca nel calderone degli estinti; noi siamo sul pianeta da appena 200.000 anni eppure già vediamo la luce in fondo al tunnel.

Insomma siamo arrivati al nodo del discorso; dobbiamo cambiare, dobbiamo farlo in fretta, e dobbiamo farlo in ottemperanza a quello spirito di autoconservazione che caratterizza ogni forma di vita.

Fare ciò è molto più importante di tutto.

Questo è il problema, questa è l’emergenza, ovunque, sempre.

7 commenti su “L’uomo è in via d’estinzione e finge di non saperlo

  1. Sono molto daccordo con te.. Sono laureato in Ecodesign, sono vegano ed attivista per gli animali. Nei miei discorsi paternali ad amici e colleghi faccio molti esempi di questo tipo, ma a nessuno frega mai niente.. Nessuno ha voglia di proiettare il pensiero oltre il palmo del proprio naso concentrandosi solo sull’immediato futuro. È per questo che penso che forse lo meritiamo, nella speranza che tra qualche milione di anni qualche nuova specie evoluta impari dai nostri errori. Dispiace per tutte quelle specie che, come dici tu, abbiamo, stiamo e trascineremo verso l’estinzione.

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