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di Maddalena Papacchioli

Se ne scrive e se ne parla da mesi.
L’ Oxford English Dictionary l’ha eletta Parola dell’ Anno 2016.
La nostra Accademia della Crusca ne ha eviscerato l’etimologia, le varianti grafiche, l’evoluzione di uso sociale, in un bell’articolo pubblicato a dicembre sul suo sito web.
I più (e i meno) autorevoli esponenti dell’informazione e della cultura vi hanno dedicato un’attenzione spasmodica tra editoriali, interviste ed approfondimenti (o alleggerimenti) vari.
Da quando è stato coniato il termine per la prima volta, nel lontano 1992 (ad opera di Steve Tesich, per un articolo su The Nation), di post-verità non è si mai discusso così tanto come di recente. Per più di un ventennio questo lemma fu utilizzato solo tra i pochi addetti ai lavori.
Lo scorso anno, due eventi di importanza internazionale ne hanno sdoganato l’utilizzo massivo: la campagna di stampa intorno alla Brexit e la campagna elettorale di Donald Trump.
Avendo appurato la centralità mediatica del tema della post-verità, cerchiamo di fare il punto. E partiamo con l’insinuare un dubbio: provocazione necessaria per provare a chiarire l’argomento. O ad aprire un ulteriore dibattito.
La domanda che vi pongo è questa: ma non sarà che, in fondo in fondo, anche la post-verità è, essa stessa, post-vera?
Mi spiego: quale novità ci porterebbe, oggi, ad indignarci (se non per il fatto che va di moda) per una disfunzione mistificatoria della verità, che appartiene all’uomo fin da quando egli stesso ha preso a raccontare storie?
Il sistema dell’ informazione, a tutti i livelli, si connota da sempre per un suo male endemico: la tendenza a trascurare il fatto in sé, nella sua essenza, per attenzionare il dettaglio o il preusupposto che siano utili ad una coclusione parziale da proporre al lettore.
Nella migliore delle ipotesi, colui che narra è un filtro apposto sulla realtà oggettiva degli avvenimenti, e decide ciò che dice e come lo dice, ciò che omette e perché. In base a queste scelte arbitrarie di comunicazione, chi legge (o chi ascolta o chi guarda) acquisisce una conoscenza dei fatti, della storia o del presente, che è perlomeno distorta. Ma non dobbiamo scandalizzarci di questo. Piuttosto dovremmo disincantarci: ogni realtà mediata è distorta, in qualche modo. Ovviamente, tale opera di distorsione, puo’ essere innocente, quando per esempio è dettata solo da una sensibilità di parte di chi la racconta. Oppure è colpevole quando diventa strumentale a diffondere una visione dominante alla mercè di una qualsiasi struttura di potere.
Nella storia, antica e recente, possiamo individuare innumerevoli esempi eclatanti di post- verità raccontate senza che per anni e anni fossero svelate e corrette. E chissà quante poi ne rimangono da stanare, se non a patto di impegnarci in un’attività investigativa e dietrologica di ispirazione complottista. Ma lasciamo stare.
Vorrei qui solo citare il famoso caso del falso storico della Donazione di Costantino, scoperto e denunciato da Lorenzo Valla, nel Quattrocento. Sulla base di questo documento menzognero la Chiesa cattolica aveva rivendicato per secoli il proprio potere temporale in Occidente. Un impero patrimoniale enorme costruito sulle fondamenta sbriciolate della post-verità.

E a proposito di religioni. I tempi moderni ci hanno consegnato in dono, o per dispetto, una pratica di fede collettiva e indiscussa verso l’Informazione. La Verità, quella con la v maiuscola, proprio come la scrivo, è affidata al verbo della stampa, da Gutenberg in poi. Come se fosse un dogma, ci siamo abbandonati per secoli al racconto delle cronache scritte, e più recentemente al flusso radiofonico e televisivo come ad un vangelo di indubitabile veridicità. Non c’era quasi modo di contestare il vero con una voce che fosse altrettanto altisonante rispetto all’apparato mainstream della comunicazione. E nessun approccio agnostico poteva essere appagato da uno spazio di smentita degno di attenzione popolare.
Se la religione era vista, marxianamente, come l’oppio dei popoli, allo stesso modo l’Informazione è diventata l’oppio dei pubblici.

La consapevolezza diffusa che esista una “fabbrica del consenso” che Noam Chomsky denunciava quasi trent’anni fa in un suo famoso saggio, come sistema di connivenza tra corporation e mass media, dovrebbe ormai essere un antibiotico naturale per affrontare la post-verità, assumibile da parte di noi tutti. Senza nessuna precauzione d’uso né effetti collaterali da evitare.

Oggi le bufale, o fake news, dilagano nel web a dismisura. Parafrasando Walter Benjamin, diremmo che la bufala è nell’ epoca della sua riproducibilità tecnica. Ed è innegabile che si tratti di un problema. Ma è comunque un problema meno annoso rispetto al mutismo o alla difficoltà espressiva del dissenso cui eravamo abituati e costretti (come spiegavo nelle righe precedenti).
Ci si può difendere dalla post-verità digitale, dunque? Sì che si può, con un po’ di impegno da parte nostra. Occorre rinunciare a combattere la post-verità a colpi di giurie popolari, che sanno tanto di censura e di bavaglio. Che demonizzano la rete a cura degli stessi soggetti che, in altre circostanze, la apologizzano in modo imbarazzante. In una sorta di schizofrena concettuale incomprensibile. Dovremmo, quindi, affidare il giudizio della Verità ad un manipolo di sedicenti menti illuminate che si ergono a guardiani della ragione pubblica? Suvvia.
La Verità non può avvalersi di un servizio di sicurezza che la protegga nelle sue uscite e ne garantisca l’incorruttibilità a contatto con il reale.
Ecco, la verità e la post-verità, invece, vanno discusse, dibattute, esaminate ed affrontate. E spetta a noi tutti, con un po’ più di fatica e tempo da quelli richiesti dall’impulsivo gesto di mettere un like o un commento di pancia o una faccina sorridente. Salvo poi ripensarci e farci prendere dal dubbio per poi tornare ad accusare e a lanciare invettive (altrettanto sterili che le approvazioni irrazionali e frettolose). Con calma, con lentezza, con indugio. Impariamo a dubitare, sempre.

Concludo. La verità sulla post-verità è che non esiste. O meglio, è sempre esistita.
Ora, scegliete voi, tra le due opzioni, quella che vi sembra la notizia autentica e quella che vi sembra la fake news.
E ricordate, comunque, che non sempre ciò che è, è ciò che sembra.
Ma questo lo abbiamo sempre saputo, o no?

2 commenti su “La verità, vi prego, sulla post-verità

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