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di Salah Alzwary

 

Mi chiamo Salah Alzwary, ho 27 anni e vengo dalla Libia. Sono laureato in Lingua e letteratura italiana all’Università di Bengasi, la mia città. Quando è scoppiata la guerra sono arrivato in Italia grazie a una borsa di studio del governo italiano e attualmente studio all’Università per Stranieri di Perugia. Ho conosciuto Emergenze tramite il mio compagno di corso Paolo e ho deciso di dare il mio contributo al progetto con testimonianze dirette della drammatica situazione che stiamo vivendo in Libia, non filtrate dai mezzi d’informazione. Questa è la prima storia che voglio raccontarvi.

Mohammed Ehrir era un ex poliziotto, membro di una normale famiglia libica della tribù El Mansuri, composta da sei fratelli e due sorelle. Vivevano insieme nel quartiere di Sheha, a Derna, città situata 350 km a est di Bengasi, controllata da circa tre anni dai miliziani dell’Isis.

Lo scorso 20 aprile 2015, intorno alle 17, quattro uomini armati si sono presentati presso l’abitazione di Mohammed per arrestarlo e probabilmente ucciderlo, come è già successo in questi ultimi anni in città con molti altri ex poliziotti e persone che lavoravano per il governo libico. L’uomo, cosciente del destino che lo attendeva, ha deciso di non consegnarsi e opporre resistenza armata ai suoi carnefici. Così ha sparato ai quattro miliziani, tre libici e uno yemenita, cogliendoli di sorpresa e uccidendoli tutti.

Un gesto eroico e storico al tempo stesso, in quanto a Derna mai nessuno aveva osato ribellarsi all’Isis.

Ovviamente ciò ha causato la reazione immediata dei miliziani, che poco dopo si sono presentati a casa dell’uomo questa volta in decine di unità e preparati allo scontro. A questo punto è iniziata una guerriglia interminabile e violentissima, durata dodici ore, nel corso della quale tutti e otto i membri della famiglia di Mohammed hanno imbracciato le armi per difendere la propria abitazione dall’assalto dei terroristi.

Al termine dei combattimenti la famiglia Ehrir ha avuto la peggio ed è stata con tutta probabilità sterminata, anche se fino ad oggi sono stati ritrovati soltanto tre corpi, esposti dall’Isis nella piazza di fronte al tribunale islamico come monito alla popolazione.

Ciò che è certo è che il messaggio dato da Mohammed e dalla sua famiglia risuona forte in tutta la città di Derna, la Libia e il mondo: noi non viviamo con l’Isis, non respiriamo la stessa aria.

0 commenti su “Non respiriamo la stessa aria. Testimonianze dirette dalla Libia

  1. Complimenti per il coraggio dimostrato nel pubblicare questa preziosa testimonianza e grazie a Salah che ha riportato questa drammatica vicenda. Dobbiamo dare sempre più spazio a queste testimonianze dirette per correggere le falsità e le inesattezze che i media diffondono.

    Grande solidarietà al popolo libico.

    Un saluto

    Hossein

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