Fútbol

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168 pp.
2020

Dopo aver raccontato le lotte operaie e il ruolo liberatorio dell’emigrazione proletaria nell’Argentina del Novecento, Osvaldo Bayer scrive un libro sul calcio. Inizia a farlo quasi per gioco, spinto da un incarico di lavoro: la scrittura di una sceneggiatura per un documentario sul fútbol argentino dalle origini fino a Diego Armando Maradona.
Accetta l’incarico, forse perché marcato stretto dal suo eterno amico, Osvaldo Soriano.
Ma non cambia il metodo: applica al calcio il lavoro storiografico sulle fonti, la pratica dell’inchiesta della storia orale e un punto di vista orientato verso le dinamiche materiali della società.
Il risultato è una storia sociale del calcio argentino, lontana dai tecnicismi e vicina ai subalterni e agli oppressi.
Come i fotogrammi di un film, il libro di Bayer scorre pagina dopo pagina raccontando una storia di calcio postcoloniale. Lo sport dei gentleman inglesi – proprietari di ferrovie e estancias – si creolizza, diventa un fenomeno quasi nazional-popolare – come direbbe Gramsci – ma poi viene preso in ostaggio dal professionismo prima, dal potere militare poi, infine dalle logiche immateriali dello spettacolo.
Eppure sopravvive sempre, nelle pieghe del fútbol, oltre i margini imposti dalle logiche dell’estrazione di profitto, la magia di uno sport ribelle.
Perché la palla è tonda, ma per mandarla in rete oltre la linea bianca della storia a volte serve la mano de dios.