Quando non morivo

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128 pp.
2019

Prima persona plurale del verbo essere: «siamo» è la voce verbale che attraversa tutta la nuova raccolta di Mariangela Gualtieri. Una voce, per l’appunto, prima ancora che una forma. Una voce che parla da non si sa dove e pronuncia l’essere e l’esserci come evidenza e nello stesso tempo come mistero. Né punto di partenza né punto di arrivo, ma consapevole e accidentato percorso. Gli approcci più che definitori sono tentativi di collocazione: «siamo nel calmo della nuvola turchina», «Siamo qui. Siamo dentro un mattino assolato». Ma soprattutto sono indicazioni di stati d’animo: «Siamo confusi», «siamo stupidi un poco». Di sicuro non siamo soli. Un’altra presenza costante del libro (e non solo nella seconda sezione, ad essi dedicata) è quella degli animali. Fratelli, ma anche qualcosa di più: sorta di angelici anelli di congiunzione con quanto si cela dietro la parola «siamo» e il verbo essere. E anche i cuccioli umani, ai quali è dedicata un’altra sezione, sono creature speciali, più immediatamente partecipi di quei cicli naturali intorno ai quali ruota, come una preghiera, la scrittura della poetessa romagnola. Ma senza essere troppo francescana, senza dimenticare che il male esiste e che quella umana è una «specie con orchi». D’altra parte, anche nelle poesie più introspettive le pulsioni sono del tutto contrastanti, in un’alternanza di estasi e smarrimento. Il filo rosso del libro resta comunque quello del sentimento panico (ancora una volta «siamo», tutto, insieme) che attraversa le varie sezioni e tocca forse il suo vertice nel Requiem finale.