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di Luca Mikolajczak

L’appuntamento è alle 11 in via Berardi 5, nel quartiere residenziale di Elce. Marta Cucchia mi accoglie trafelata ma sorridente e, intenta a confezionare amorevolmente un centrino, mi fa accomodare da irreprensibile padrona di casa su un cuscino damascato. Un peccato sedercisi sopra.

Si scusa per il freddo, nemico incedente di una maestria che procede imperterrita nella salvaguardia del bello e della tradizione. Del resto, la tenacia è il fondamento invisibile di questa fabbrica culturale al femminile.

La mia interlocutrice mi introduce subito alla figura della bisnonna, Giuditta Brozzetti, amica di Luisa Spagnoli con cui era solita trascorrere la vacanze al mare: forse proprio tra un pettegolezzo al solleone e un altro, con il suo ascendente Luisa incoraggiò Giuditta nella realizzazione della sua idea imprenditoriale. Già direttrice delle scuole elementari del comune di Perugia sotto la Prima Guerra, Giuditta al termine del conflitto si dimise dall’incarico per far posto ai reduci. Ma il ruolo di donna di casa le stava stretto. Aveva visto durante i suoi giri in calesse il lavoro a telaio che nelle campagne perugine ancora si tramandava di madre in figlia, ripetendo gesti rimasti immutati per secoli. Di lì a iscriversi alla Camera di Commercio il passo fu breve. Nasceva un laboratorio destinato a diventare un baluardo del mos maiorum locale nel mondo. Sì, perché le stoffe e le tovaglie perugine realizzate con anacronistica dedizione su telai a pedali e telai “a jacquard” sono ambite da un emisfero all’altro, dall’Australia all’Asia, passando attraverso il continente americano: tutti paiono volersi accaparrare un drappo con l’inconfondibile Grifo, tutti paiono volersi accaparrare un pezzo più unico che raro di storia.

Tutti forse no. Osannati all’estero e reietti in patria. Nulla di nuovo, purtroppo. Manca una legislatura nazionale a tutela dell’artigianato, un interesse alla salvaguardia di un patrimonio manuale che rischia di essere spazzato via da una folata della celebre tramontana cittadina. Mentre Marta parla ha gli occhi lucidi di chi crede strenuamente in ciò che fa, e tira dritto contro geloni, cavilli, avversità e indifferenza, se non diffidenza.

Ad accompagnarla nel suo coraggioso e impervio cammino, aggravato da una crisi più valoriale che economica, sono dei soci fedeli e altrettanto folli, pronti al sacrificio pur di non celebrare i funerali di una consuetudine atavica.

Alla base di tutto c’è la passione. Sbocciata improvvisa, testarda, come per uno spasimante di cui ci si accorge tardi, ma che era sempre lì ad aspettarti sotto la finestra. Solo che non si tratta di un uomo, ma di un telaio. Per il quale tornare in patria.

Diplomata a Milano in architettura d’interni e cultrice del design industriale, Marta trova nella quasi arcaica tessitura al telaio una ragione di vita: cosa ci può essere di più appagante che restituire con le proprie mani, a fine giornata, un oggetto? Un oggetto nato nella mente del committente e poi plasmato a sua somiglianza. Qualche volta in modo fedele, qualche volta no. Questo è il bello del lavoro fatto a mano, con tutti i suoi imprevisti, tutte le sue eccezioni spettacolari proprio perché irripetibili.

Mentre ascolto le parole della mia determinata Penelope, non posso fare a meno di gettare uno sguardo di autentico stupore alla magniloquenza del posto, che definire laboratorio è a dir poco riduttivo. È la chiesa di S. Francesco delle Donne, romitorio eretto dal Santo che vi dimorò insieme ai discepoli, ceduto nel 1252 -in occasione della realizzazione di S. Francesco al Prato- alle monache benedettine e divenuto, dopo la sconsacrazione ottocentesca, sede di varie aziende, fino all’idea della madre di Marta, Clara, di recuperare un locale altrimenti abbandonato. Ora è un salotto confortevole amministrato dalla solerte padrona di casa, che nel 1995 si è iscritta alla Camera di Commercio. La bisnonna avrebbe approvato…

Una telefonata. Marta risponde in inglese, euforica all’ennesima commissione d’oltreoceano. Le lascio sbrigare le sue mille faccende.

Una domanda rimane sospesa: dopo di lei quale destino attende l’azienda?

Nunc est texendum.

Il Museo Laboratorio di tessitura a mano Brozzetti è uno dei tanti siti di eccellenza umbra che aspetta solo di essere visitato dai concittadini. Le porte sono aperte a chi vuole conoscere la trama di una tradizione secolare talvolta ingiustamente dimenticata.

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