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di Antonio Cipriani

Piccola storia introduttiva.
A Bellissima tutto è cominciato con una riflessione su Sellerio. Con gli scatoloni in mano e nel cuore il ruggito della rivoluzione, un ragazzo col ciuffo dritto in testa e i piedi dolci ha chiesto a un anziano: mi scusi, signore, ma questa è la bellissima fiera dell’editoria indipendente, che cosa c’entra Camilleri e soprattutto che vuol dire questa asfaltata di libri tutti uguali di Sellerio? L’anziano, col ciuffo bianco ha sorriso con dolcezza: bravo, fa’ belle foto, il pubblico della poesia è infinito vario inafferrabile, come le onde dell’oceano profondo, il pubblico della poesia è bello aitante avido temerario, guarda davanti a sé impavido e intransigente.
Così ha detto, e volgendo lo sguardo altrove e col suo passo vellutato ha attraversato il pratone proiettando la sua poetica verso Sud Ovest. Sarà indipendente anche Sellerio, ha pensato il ragazzo ed è andato a brevi falcate verso il suo stand. Con nel cuore anche il ruggito di cui sopra, ma nell’anima il dubbio. Un fragoroso, planetario dubbio più sulle copertine di Sellerio che sull’indipendenza o sulla dipendenza dei lettori di Camilleri, a favore di Sellerio. Dopo tre giorni la domanda è restata affissa come a un chiodo. Ma il ragazzo ha sciolto i nodi della coscienza affermando con certezza assoluta: senza dubbio quelli di Sellerio ci hanno rimesso. E manco poco, ha aggiunto un sosia di Neil Sedaka, bello aitante avido temerario. Sempre preparato sulle questioni che non contano veramente.

I suoni.
Deve essere stato l’influsso televisivo crescente, ma i suoni nell’aria tambureggiavano di lingua romana. Prima ancora che Zerocalcare andasse a spiegare col suo “macheccazzo” il senso dell’arte fumettistica, viaggiavano suoni di provenienza capitale. Per l’orecchio assoluto raffinato, andavano dalla Roma Nord etruscheggiante al Prenestino per buttarsi al sud che da Porta San Giovanni scivola sull’Appia verso Capannelle dei cavallari matti, di Mandrake e Soldatino.
Il vigilante pugliese da venti anni a Milano, quindi padano e leghista, a ogni esclamazione in romanesco style poggiava la mano sulla rivoltella. E le romane carucce, spaventate da Milano, si chiedevano come fosse possibile… Manco strano, come fosse possibile e basta. Un’ansia che risuona nel cuore: o la senti o non la senti. Come acufene. Ecco il romano a Milano soffre di acufene territoriale.
Per fortuna, a ribaltare il dramma geografico, a un certo punto è arrivato Zerocalcare che ha reso la libreria Piuma di mare il centro pulsante della Fiera, con il fumettista che avrà fatto cento disegnini di dedica ai fan. E poi ha perso il treno.
Prima di perdere il treno ha presentato il suo nuovo progetto Kobane Calling, ha parlato della Bao che lo edita e che rischia l’osso del collo, e ha provato a rispondere alle domande della sua collega, la simpatica e brava Laura Scarpa. Domande che avevano questa caratteristica: infinite, in un grammelot fumettistico. C’è gente che, affaticata dal romanesco, ha vissuto la domanda in grammelot come una specie di rito di iniziazione finendo in catalessi. Per fortuna la battuta e la cordialità primordiale di Zerocalcare sono riuscite a far scattare un applauso che ha avuto il merito di destare da rutilanti sogni i poveri spettatori che sulle sdraie si erano epicamente assopiti visto l’orario post prandiale. Decisiva la prima domanda su dipendenza e indipendenza nell’arte. Daje, si è sentito nell’aria.

Il fotografo gran divo.
Corrad, su e giù per le scale, lungo i viali degli stand, in cima alle balconate a caccia di uno scatto, di un gesto da lasciare come testimonianza. Ha ritratto la meglio gente della Fiera, tranne Neil Sedaka che non ama farsi rubare l’energia dall’apparecchio infernale.

Comunisti.
Senza dubbio Toni Negri è stata la stella di Bellissima Fiera. L’anello tra i militanti che ne venerano la storia, idolatrandolo come una rockstar, e l’editoria, visto che l’occasione per discutere a Milano con Gad Lerner è il proprio la sua autobiografia. Due ore di battaglia, di oratoria e rivoluzione che aleggiava al ritmo della voce accesa e decisa del professore che non conosce alcun pentimento, anzi, analizza i motivi della sconfitta senza nascondersi dietro alcun pudore. Al fianco il giornalista tratteggia la storia, prende le distanze, cerca di opporre una linea ideale ragionevole di buon senso istituzionale all’assalto all’arma bianca dell’ottantatreenne che si sente sulle barricate. Finisce col popolo del palazzo del Ghiaccio in adorazione, sul ciglio della rivolta. Lucciconi da parte dei veterani, bocca spalancata degli adolescenti al contatto col mito dell’autonomia. Furore quasi mistico di due impellicciate pantere grigie che di fronte a Gad che cercava di raccontare un’altra visione degli anni della loro gioventù, si sono alzate e sono andate via, verso il bar. A sperare in un drink migliore.
Onestamente Gad sembrava il fratello maggiore di Toni Negri. Un vicino, col capello lungo ben tenuto a coda di cavallo, ha detto serafico: la militanza fortifica lo spirito e il corpo. Una grattatina alla pancia e poi a passo svelto, con gambe corte, ha preso anche lui la via del bar. La rivoluzione merita un gotto di rosso a metà pomeriggio. Tutto sommato un momento anche poetico, mentre nello stand di Calusca, i Rosso di carta ingiallita dalla storia andavano via come mai.

Pugni chiusi.
Sottofondo musicale: Pugni chiusi. Testo di Luciano Beretta, milanese dell’Isola, voce di Demetrio Stratos quando cantava con i Ribelli.
Pugni chiusi non ho più speranze
in me c’è la notte più nera
Occhi spenti nel buio del mondo
per chi è di pietra come me

Lotta Continua in fasce.
Frase raccolta nell’aria dalle parti di Calusca: “Quanti sono i giornali della mia epoca, guarda che grafica spartana, che logo, prima della Gestalt… Quante battaglie, quanta diffusione”. Nelle mani una copia di Lotta Continua del 1971. Neil Sedaka: “Cavolo, ma te li porti bene gli anni, di che millesimo sei? Del 1970.” Militante in fasce.

Giornale salmone ma non per incartare il pesce.
Sì, lo sappiamo. Col giornale il giorno dopo al massimo ci si incarta il pesce, diceva il saggio. E se il giornale ha un colore salmonato? La risposta in fiera: poggiato a terra in ogni angolo del pratone, il Pagina 99 color salmone è durato tutti e tre i giorni, nel senso che è stato letto, riletto, portato a casa. Dialogo tra due visitatori:
– che è la Gazzetta?
– no, la Gazzetta è rosa, questo è mezzo arancione, sembra di più il Sole 24 ore.
– Non so, non l’ho mai visto il Sole 24 ore, ne ho sentito parlare, ma mi pare anche pretenzioso il titolo a dire la verità.
Con questo dialogo infisso nell’immaginario, salire le scalette per ascoltare Emanuele Bevilacqua su chi ha ucciso il giornali è stato doveroso. Lunga l’analisi, ricchi i dati, belle le domande trabocchetto poste ai marzianetti in ascolto (ci sono sempre giornalisti pronti a intervenire autocitandosi e specificando: sono un/una collega). Brutte le domande sui contenuti, a dimostrazione che la categoria non ha alcuna percezione della realtà, e si vede. Costruito con cura il giallo, con indizi e suggestioni, per capire chi fosse il killer dei giornali. Finale a sorpresa, sul modello “Assassinio sull’Orient Express”: dodici pugnalate per un suicidio. In effetti…

Diffusione militante.
Davanti allo stand della libreria Calusca e dell’archivio Primo Moroni. “Guarda che roba, ti ricordi al liceo? Quando venivano lì a romperti i coglioni che ti volevano affibbiare ‘sti giornali? Bello, che tempi”. Gira le spalle e va oltre. Il libraio resta con un Senza tregua in mano, pensieroso tra i ricordi polverosi della carta e quelli altrettanto impolverati del visitatore di Bellissima Fiera.

Chiosa finale.
Chiedo a Neil Sedaka un giudizio complessivo sulla Bellissima Fiera. Ci riflette e poi, manco fosse Bevilacqua, snocciola dati. Bellissima Liliana Cavani, sorprendente Susanna Camusso, sornione Davide Riondino, scarso il bruschettone del bar che avrebbero dovuto chiamare bruschettino per non indurre l’acquirente all’errore, magistrale Militant A, profondi e teneri i due mitici Paolo Caffoni e Angelo Castucci, da rivedere le modalità stantie dei dibattiti, da sogno la ragazza alta e mora che mi ha abbordato chiedendomi a bruciapelo: dov’è il bagno? A lei dedico la tre giorni e un po’ la dedico anche agli incredibili del filo rosso e dell’edicola nel deserto. Insomma alla speranza, alla vita, alla bellezza.
Che rispondere? Amen.

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