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Quanto segue non è un bilancio, perché tutto è ancora da fare.

D’altra parte parlare del progetto partito il 1 dicembre 2014 con il nome di Emergenze e diramatosi in Edicola 518 a partire dal 1 giugno 2016 significa parlare della nostra vita. Della mia, in questo caso. Nella convinzione che non esista vera arte al di fuori della vita e che non esista vera vita al di fuori della pretesa di essere arte.

In quanto vita, questo progetto ha concentrato in sé la sua enorme energia e le sue irrisolvibili contraddizioni. Portando me e chi mi è stato accanto a tu per tu con l’ebbrezza di un sogno impossibile che assume i contorni della realtà e poi, con la stessa naturalezza, faccia a faccia col dramma della disillusione. Un dramma che spesso ci ha bussato alla porta, ma che siamo sempre riusciti a risolvere a vantaggio del sogno.

Questo progetto non ha meriti, se non quello di essere nato incompatibile col proprio tempo e di esserlo rimasto senza sforzo fino ad oggi. Nulla è stato fatto secondo regole. Nulla è stato concepito in risposta a valutazioni di mercato. Nulla è stato fatto per compiacere o compiacersi. Ma tutto è stato ribellione consapevole. Talvolta subdola al pari dei nemici che ha combattuto e combatte.

Capita di vivere dieci anni e sentirsi di non aver mai vissuto. Capita di averne vissuti tre con dentro le vibrazioni di una vita intera. Di cui resta, come massimo dolore, quello di aver visto compagni di strada e amici battere in ritirata quando era il momento di avanzare senza freno. Purtroppo viviamo l’epoca del disimpegno. Il sogno collettivo è da ricostruire e non sarà semplice, laddove tutti si riempiono la bocca con parole di rivoluzione, per poi ripiegarsi nel proprio conformismo. E vivere imitandolo.

Il sogno senza azione è allucinazione.

Spesso in questo tempo mi sono sentito anarchico. Perché l’anarchia non è l’impossibile, è l’irrealizzato. Perché l’anarchia è quell’utopia a cui tendere, disse l’amico Francesco Codello in uno dei tanti incontri organizzati qui in Edicola. In questo chiosco che ha sfidato le regole, che ha accettato il rischio di cambiare pelle senza chiedere il permesso per farlo.

In questo tempo abbiamo temuto tutto senza paura di niente. Ci siamo sottratti alla concorrenza perché non siamo sul mercato. E se ci siamo, è solo per disorientarlo.

Potrei ricordare le decine di ospiti che abbiamo regalato alla città. Personalità del mondo intellettuale italiano ed internazionale che abbiamo portato a dialogare con le persone in modo orizzontale e paritario, nello spazio pubblico. Ma non è necessario, perché il bello di ciò che abbiamo fatto è che è stato vissuto. Chi c’era non ha dimenticato. E lo ringraziamo. Potrei menzionare decine di pubblicazioni internazionali entrate in Italia grazie alle nostre intuizioni, decine di personaggi ingiustamente sconosciuti di cui abbiamo preservato la memoria e ridestato l’eredità culturale. Potrei menzionare una serie di obiettivi raggiunti contro ogni ragionevole pronostico ma mi sottrarrò alla tentazione di celebrare con una retorica da self made man il successo di un progetto nato in omaggio alla sconfitta.

Solo un risultato va ricordato con orgoglio per essere posto a base di quanto verrà. Emergenze/Edicola 518 è un progetto che fino ad oggi ha dettato il suo tempo senza subirlo. Tutti i tentativi di recuperarci e restituirci al mondo dell’economia, della politica, della comodità sono falliti. Perché ogni volta che qualcuno arriva a mettere il suo cappello, la testa è già altrove.

Un commento su “Emergenze, un’esperienza di libertà smisurata

  1. “Hai mai pensato a come sarebbe stato se invece di mollare avessimo lottato?” penso che la risposta sia davanti a tutti, tutti i giorni, inerpicata sulle scalette più lunghe di Perugia.

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