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di Barbara Monaco
È originario di Damasco Ahmad Andoura, esperto di politiche internazionali e membro dell’Agenzia internazionale sul futuro della Siria per le Nazioni Unite e intervenuto più volte in Italia, recentememte durante il Meeting Internazionale Antirazzista di Cecina organizzato dall’associazione Arci della Toscana. Ahmad è giovane, poco più di trent’anni, oggi vive in Austria, dopo aver visto morire sotto le bombe gran parte della sua famiglia e troppi amici. Amici che combattevano al suo fianco per una Siria libera da Assad e libera dal Daesh. “Durante la rivoluzione ho passato giornate intere per le strade”, afferma durante il suo intervento appassionato e puntuale, senza mancare mai di aggiungere quell’humor e di quel sorriso accogliente che solo in chi ha visto e vissuto troppo mi era già capitato di incontrare.

Ahmed Andura

Sono passati ormai cinque mesi da quando ho potuto apprezzare l’intervento di Ahmad… solo oggi però tento di tirare le fila di un pensiero che da più di cinque anni non mi abbandona: non è semplice, e non certo perché la Siria non meriti attenzione, al contrario, di quella non ne abbiamo e non ne avremo mai abbastanza. Ma è per questo che nell’affrontare l’argomento si ha quasi il timore di poter urtare sensibilità, mancare di empatia, insomma, pretendere di esprimere opinioni riguardo a qualcosa di troppo doloroso e complesso. Non so se ciò che andrò a scrivere potrà essere sufficientemente corretto e competente, ma sento di avere un dovere nei confronti di questa popolazione martoriata, dalle bombe e non solo. Ancor più pesanti delle bombe sono le parole. Certo, ai miei occhi che guardano quella sponda tanto vicina, ma anche troppo lontana per poter comprendere appieno le sofferenze inimmaginabili di chi quotidianamente teme per sé e per i suoi cari, vedendo affievolirsi sino all’inaudito la speranza di ritrovare un giorno il proprio Paese qual era, la propria storia millenaria, banalmente anche solo avere la consapevolezza di aver perso per sempre anche quell’angolo di strada che si era soliti vedere affacciandosi alla finestra. Ma da questa parte del mare, dove le bombe non cadono e si dà per scontato il ritorno a casa ogni sera, sono le parole a farsi armi letali, parole dalle quali, proprio come dalle bombe, non è possibile sfuggire. Emergenza profughi, quote da rispettare, sicurezza nazionale, invasione, tre profughi ogni mille abitanti, accoglienza sì accoglienza no; sono questi gli unici temi sui quali siamo forzatamente chiamati a pensare accendendo la tv o sfogliando un giornale. Ed ecco che ci si sente in diritto di esprimersi a caso, sfociando in nuove tendenze linguistiche stravaganti, in nuova forme, raccapriccianti, di sostantivare. Uno degli esempi più in voga riguarda il termine buonismo: chi lo utilizza, lo fa solitamente per tappare la bocca a un interlocutore che sta tentando di illustrare le proprie ragioni. Nel nostro caso lo fa sostenendo il dovere di aprire le frontiere a chi sta fuggendo alla morte. Non è detto che le ragioni addotte siano sempre corrette, ognuno ha le proprie, più o meno chiare, più o meno accattivanti. Ma non è questo il punto. La questione è molto più semplice, addirittura banale. Delle responsabilità politiche, delle quali tutti, nessuno escluso, dalla Siria di Assad a quella del cosiddetto Califfato, dalla Turchia alla Russia fino alla Cina, senza mai dimenticare certo il peso dell’Europa e degli Usa, siamo chiamati a prendere atto. Che gli interessi geopolitici ed economici siano straordinari è chiaro a chiunque abbia un briciolo di onestà intellettuale, anche senza essere in grado di comprendere appieno, come non lo sono io, ogni singola decisione che, da decenni, a partire dalla Palestina e dalla Cecenia, esplodendo in Afghanistan nel 2001, per proseguire ininterrottamente in Iraq, Kurdistan, Libia, Egitto Yemen, Siria, senza lasciare illeso il Pakistan, ha capovolto il mondo. La sola questione, quella di noi semplici cittadini di questo mondo è esclusivamente una: esistono luoghi in cui non è più possibile sopravvivere.
Ed è proprio su questo, sulle responsabilità attribuibili ai media che Andoura, che ha concluso i suoi studi con un master in scienze della comunicazione a Vienna, ritiene sia utile soffermarsi. “Il modo in cui si tratta la questione profughi mi ha subito molto colpito appena arrivato in Europa”, afferma, “anche perché ho avuto la possibilità di vederne gli effetti prodotti sulla popolazione. Ricordo una ragazza che incontrai in Germania, intelligente, e colta, era dalla nostra parte, difendeva la necessità di applicare la carta internazionale dei diritti umani nei confronti dei richiedenti asilo. Quando poco dopo la rividi, non ricordo quale notizia avesse appreso in tv ma, repentinamente, quello dei rifugiati si era trasformato per lei in un grande problema”. In un mondo come quello attuale, prioritario sarebbe concentrarsi sui valori comuni che, in quanto essere umani, condividiamo, Ahmad ne è convinto: “I valori fondamentali, basati sul rispetto dell’essere umano, sono come il linguaggio, che deve essere in grado di rappresentare ciò di cui si vuole parlare, semplicemente, se dico fiore, è di un fiore che voglio parlare, non di un cane o di una zucca: la stessa cosa vale per i nostri valori comuni”. È così che anche la comunicazione, quando non è tenuta a rispettare alcuna regola che riguardi il buon senso diventa un arma micidiale. “Accade che”, prosegue Andoura, “quando un fatto di cronaca nera coinvolge un profugo, l’attenzione viene spostata sul fatto che questi sia profugo, non unicamente un essere umano più o meno criminale: dovremmo assomigliare ad angeli per poter usufruire dello stesso trattamento riservato alle altre persone”. E la “crisi” dei profughi in quanto esseri umani costretti a fuggire, in Europa si fa “crisi economica”, ovvero, le ristrettezze che stiamo vivendo da un decennio, causate dal crack del sistema bancario e dai giochi fantasiosi creati dalle bolle finanziarie, sono ora imputabili all’arrivo delle persone che chiedono rifugio, perché hanno bisogno di un tetto e di un lavoro per poter sopravvivere: tutto questo si ottiene “rubando” agli Europei e, voilà, il gioco è fatto: la politica non dovrà più preoccuparsi di giustificare i perché sia stata al gioco sporco dell’economia creativa, ma le sarà sufficiente accusare l’ altro, lo straniero e, con la complicità dell’informazione, lasciarsi andare alle più becere insinuazioni, distraendo i cittadini dalle cause reali del proprio malessere e permettendosi il lusso di tornare, a poco più di 70 anni dalla fine del nazifascismo, ad alimentare i più bassi istinti xenofobi cui si credeva di essere diventati immuni. È la trumpetizzazione di cui parlava Ahmad durante il suo intervento, ancor prima che Donald Trump salisse alla Casa Bianca: “Non so se Trump vincerà le elezioni”, diceva, “ma è ciò che Trump lascerà dietro di sé che, comunque, cambierà ogni prospettiva. Andremo incontro ad una trumpetizzazione più radicale, più bianca, ancor più a destra di Trump. Quando qualifichiamo una questione come “crisi dei rifugiati” come, appunto, una crisi, come possiamo aspettarci che la gente dica “benvenuti”? Mi spiego con una semplicissima formula matematica: diciamo che Z +X è uguale a Y+X e se provvediamo poi a togliere la X che rappresenta i rifugiati avremo Z=Y, cioè, stiamo chiedendo alla gente di dire “benvenuta crisi”!”.
Seppur quello attuale sia un momento di trasformazione epocale, dato dall’enorme abbreviazione delle distanze, dalla cosiddetta globalizzazione, dal fatto stesso che io, dall’Italia, possa vedere e parlare con Ahmad che vive in Austria, per discutere di Siria e commentare l’operato del Presidente degli Stati Uniti d’America, è il movimento degli esseri umani ad aver dato vita al mondo quale lo conosciamo: “Torniamo all’inizio della Storia”, afferma Andoura, “quando c’erano Adamo ed Eva; se volete credere in Adamo ed Eva, se volete credere nella “teoria evoluzionista”, o in qualsiasi cosa vogliate credere, il cambiamento, il movimento degli esseri umani, avvenne lì: la nostra esistenza di oggi, i nostri valori di oggi, tutti noi siamo qui, adesso, perché i nostri antenati, Adamo ed Eva o le scimmie, comunque voi vogliate chiamarli, sono cambiati, si sono mossi. Nonostante questo, tutti noi oggi, stiamo combattendo questo movimento. Perché? Se ci stiamo evolvendo come esseri umani è perché c’è questo movimento, perché c’è cambiamento, perché c’è anche il bisogno sì, e ci sono le ferite.. perché c’è la sofferenza”.
I mezzi di comunicazione si occupano di profughi sì, ma tentano anche di analizzare i conflitti nel mondo. I risultati però, anche in questo caso, lasciano a desiderare. La questione siriana è troppo complessa per essere liquidata, come sempre, facendo riferimento al terrorismo islamico: “Non si fa che parlare di Isis e jihadisti, il radicalismo esiste, non c’è dubbio ed è un problema, ma non il maggiore in Siria”, spiega Andoura, “teniamo conto che i morti provocati dagli integralisti riguardano il 4% del totale, il restante 96% è provocato dalle forze e alleanze governative, parliamo di sette/ottocentomila persone. La popolazione siriana sta soprattutto soffrendo e morendo”, sottolinea, “mentre abbiamo quarantamila combattenti provenienti da Iraq, Afghanistan e Libano che appoggiano Assad e 3 basi militari statunitensi, 2 inglesi e 3 russe. La domanda da porsi quindi è come arrivare costruire un Paese moderno, basato su valori comuni, che riesca ad uscire da un conflitto che definirei storico-ideologico, spacciato invece per una rivoluzione in nome della religione o della libertà? I cittadini siriani non sono rappresentati da chi li governa, vengono piuttosto utilizzati mettendoli l’uno contro l’altro al servizio di una guerra per la supremazia. Con tutto ciò la Siria viene ancora, paradossalmente, definita “repubblica”, ma di cosa stiamo parlando? … in un Paese dove il Primo Ministro non viene neppure eletto…”.
Dopo questa lunga riflessione abbiamo voluto immaginare cosa davvero era possibile vedere dalle finestre siriane prima della guerra, permettendoci anche un tuffo nel passato di un Paese che fu una delle culle della civiltà. Abbiamo potuto farlo grazie ad una pagina facebook amica che ci ha permesso di pizzicare nei suoi ricordi: انتيكا – Antica (https://www.facebook.com/Anteka.Magazine/)

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