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di Paolo Marchettoni

Anticamente Roma disponeva di un sistema di rifornimento di acqua migliore dell’attuale, in gran parte merito di quel prodigio della tecnica chiamato acquedotto. Già duemila anni fa l’Urbe aveva lo stesso approvvigionamento idrico giornaliero che ha oggi New York (considerazione possibile in base al confronto tra adduzione e distribuzione delle masse d’acqua, ma anche tra il numero degli abitanti nelle due città). E Perugia? Non era da meno. Come abbiamo visto, parlando del Pozzo Etrusco, il sottosuolo della nostra città è particolarmente prodigo di risorse idriche.

A partire dal IV secolo a.C, al termine della fase di espansione, tutte le città etrusche cominciarono a dotarsi di mura per proteggersi meglio dai nuovi vicini. Anche Perugia, che era tra le città etrusche più potenti, edifica le proprie mura in questo periodo. Lunghe in origine 3 km, con cinque porte d’ingresso maggiori, più altre tre porte più piccole (dette posterule o postierle) che, secondo alcuni studiosi, avevano sempre una funzione di accesso pedonale, secondo la maggior parte degli archeologi, erano quasi ed esclusivamente dei punti di drenaggio delle acque.

Una di queste è la “Posterula o Postierla della Conca” e si affaccia sulle scalette dell’acquedotto. E’ l’unica porta etrusca intatta della città. Essendo rimasta sepolta per secoli, è giunta fino a noi inviolata e, in un certo senso, tutelata in quanto sotto terra e dunque difficile da raggiungere e da manomettere.

La struttura è quella di un classico arco etrusco con una porta pronta a chiudere l’accesso in caso di emergenze belliche. Proprio in seguito a eventi bellici, ma anche a ristrutturazioni di edifici e altri interventi architettonici e urbanistici, il piano di calpestio si è innalzato progressivamente lasciando la porta in posizione ipogea rispetto all’attuale livello della strada. Nel corso del XIII secolo il Comune di Perugia avvia i lavori per la costruzione dell’acquedotto. Serviva un passaggio per raggiungere le piazze del centro. Questo tunnel di epoca etrusca arrivava già sotto alla piazza del Duomo (oggi non è del tutto percorribile in piedi perché, oltre ai tubi dell’acquedotto moderno, sono stati inseriti al suo interno nel corso dei secoli successivi: l’impianto idraulico attuale della Fontana e varie linee adsl ad alta velocità in fibre ottiche), quindi i progettisti medievali hanno ben pensato di utilizzarlo per far passare le tubature al suo interno.

Diverso dai classici acquedotti romani “a pelo libero”, quello medievale di Perugia fu realizzato con tubazioni in pressione per “mandare l’acqua in salita”. Furono adoperati tubi in piombo di 4-5 cm di diametro interno che avevano il compito di portare l’acqua dalla fonte del monte Pacciano, lungo un percorso di più di 4 km sia in superficie che attraverso parti sotterranee, fino alla Fontana Maggiore.

La “Postierla della Conca” conduce all’interno delle mura etrusche. Con molta probabilità, era una porta di drenaggio utilizzata per il deflusso delle acque. Essa ha comunque tutte le caratteristiche di una porta: i cardini superiori sono tutt’ora ben visibili; mentre quelli inferiori sono al di sotto del piano di calpestio, in quanto durante i lavori di ristrutturazione si scelse di mantenere il piano medievale, lasciando il piano etrusco e i cardini sotto al livello oggi percorribile. La didascalia al suo ingresso presenta la porta minore della cinta muraria etrusca come accesso pedonale alla città. Sicuramente gli Etruschi e i Romani ci passavano in piedi all’epoca, visto che non erano famosi per la loro altezza, noi oggi facciamo un po’ più di fatica.

Un altro indizio interessante è la mancanza di indizi. Qui non sono stati ritrovati reperti, al contrario del Pozzo Etrusco. Il travertino proviene da Santa Sabina, dalla cava della zona della Perugina. Anche se a guardar bene un indizio ci sarebbe: se si osservano le giunture tra i blocchi di travertino si può notare che gli Etruschi, almeno in questo caso, hanno usato la malta per murare.

Naturalmente la struttura era perfettamente bilanciata, e dunque stabile, secondo lo schema solito della costruzione ad arco. Gli archi caricano lateralmente, questa volta senza tirante (a differenza degli altri siti del centro), perché il muro molto spesso bastava da solo a reggere la “spinta”. Sempre durante i lavori di restauro lo smantellamento di alcune parti del muro ha provocato un disassamento e il crollo di alcuni blocchi, causato dalla mancanza di bilanciamento venutasi a creare in seguito alla rimozione di alcune parti delle pareti. Un arco è stabile perché si bilanciano le spinte che a loro volta sono create dalle proporzioni.

Una grande opera pubblica, non c’è che dire. La targa di pietra col Grifo, posizionata sopra l’ingresso, indica che è stata realizzata dal Comune di Perugia. Nel XIII secolo le città che potevano vantare un acquedotto erano poche. Eppure a Perugia, ricchissima di fonti idriche, l’acqua non mancava. Proprio affianco alla Fontana Maggiore c’è un altro pozzo profondo 50 metri, per 3 metri e 60 di diametro, con 30 metri di acqua sui 400 metri cubi di volume. L’acquedotto fu in realtà un’opera di prestigio, simbolo di potenza del Comune. La stessa Fontana, tra gli exempla maxima di architettura medievale, lo è: non serviva mica per bere. Sono entrambi monumenti celebrativi del Potere comunale e quindi della città. L’acquedotto ha sempre funzionato poco e male. L’acqua calcarea incrostava i tubi di continuo; durante il percorso l’acqua raggiungeva fino a 15 atmosfere di pressione e i tubi in piombo si rompevano spesso e facilmente; le manomissioni erano all’ordine del giorno.

Un’opera di grande valore, senza dubbio, tanto ardita per l’epoca in cui fu realizzata. Una grande opera pubblica pensata per narrare la grandezza di una città. Secondo le testimonianze di Uguccione Ranieri di Sorbello in tutta Italia si parlava della straordinaria città dove l’acqua saliva invece di scendere. Ma a ben vedere, come già ricordato, l’acquedotto non funzionava un gran che. Quale è allora la vera grandezza di Perugia? La grandezza di Perugia è aver saputo camminare in epoche moderne sul tracciato della sua storia e l’acquedotto ne è un esempio tangibile: oggi col piglio dei contemporanei, come l’acqua, potremmo percorrere i solchi scavati e rinforzati nel corso dei secoli. L’acquedotto poggia sulle epoche storiche precedenti: il progetto di ammodernamento nell’Ottocento si è aiutato col medioevo, che a sua volta si è innestato sulla costruzione di epoca etrusca.

Ecco perché l’antico acquedotto è un simbolo di Perugia. Questo, insieme ad altri, rappresenta la storia della città. Come simbolo racchiude in sé la forza dell’immaginazione e, come opera compiuta, la capacità razionale dell’uomo in grado di trasformare un sogno in realtà, realizzando un’idea. Immaginazione e ragione, sorelle figlie della mente umana e certamente presenti anche in natura, compongono insieme la realtà. Non è un caso che tutte le arti e le tecniche si nutrano di simboli vivi in noi (come lo sono i desideri, le paure e le ambizioni) e intorno a noi (come lo sono il cielo, la terra e il Sole). Stimoli che alimentano il continuo processo di armonizzazione tra immaginazione e ragione, che si compie anche attraverso scelte interpretative rispondenti a situazioni di un contesto storico e un ambiente culturale di una società o civiltà, ma sempre in relazione all’hinc et nunc e alle strutture mentali di uomini e donne in grado di far evolvere un segno in un archetipo universale, rappresentazione di un’intera comunità.

 

 

La foto di copertina all’articolo è stata scattata nel 1994 dal fotografo Roberto Tomei. Si ringrazia la Sig.ra Tomei per averci concesso l’utilizzo della foto. Si ringrazia inoltre il Gruppo Speleologico CAI Perugia per averci guidato e istruito.

Se vuoi saperne di più su Perugia sotterranea leggi anche: Perugia UndergroundSale gotica e salara: un viaggio negli inferi del Tribunale di PerugiaRifugi antiaerei: la tana dove si nasconde Perugia e Il Pozzo Etrusco: memorie dal sottosuolo.

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