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di Valentina Montisci

È un pomeriggio qualsiasi, in questo settembre caldo, di quelli che fanno sperare che l’afa e il sudore almeno la sera possano lasciare il posto a una brezza. Milano non è più deserta magnifica come in agosto. Dalle finestre, mentre le dita battono veloci sulla tastiera, riesco a percepire il vociare dei passanti, urla di bimbi, clacson dei frettolosi e macchine che sfrecciano. Sono le stesse sensazioni, gli stessi rumori, i formicolii mentali che mi accolgono appena uscita dalla metro Brenta, mentre percorro Corso Lodi. Le persone camminano con passo veloce, non guardandosi in faccia. A dire il vero anch’io tendo a farmi prendere da una certa frenesia milanese, anche se equilibrata dal fatto che mi sento un po’ svogliata. Ho attraversato tutta Milano, da Nord a Sud, per una folgorazione, per quel meccanismo strano a cavallo tra intuizione e caso che ti porta a fare cose imprevedibili. Mentre le fai non sai il perché.

Girato l’angolo, arrivo in via Tagliamento e quello che si presenta ai miei occhi è un gioco di colori scintillante e meraviglioso. In fondo alla strada spunta una chiesa con un campanile che segna l’orizzonte. Sulla sinistra c’è la mia meta: una cartoleria che è anche una tipografia, la Fratelli Bonvini del 1909. Una bellissima insegna con i caratteri d’oro accoglie il mio sguardo. Già sto meglio. Immaginavo un posto insolito, devo comprare della carta da lettera par avion, che io in effetti non so neppure come sia fatta, ma ho letto che a Milano la vendono solo in questa cartoleria, che si trova qua, in questa strada, da più di cento anni. Certo, te la mandano anche a casa, come qualsiasi altra cosa tu voglia comprare, ma non so perché io ho preferito l’attraversamento. Il seguito della storia spiegherà a me e a voi il perché.
È quando varco la soglia della cartoleria che mi rendo conto fino in fondo della meraviglia del luogo che ho scoperto. La piccola bottega ha ancora i mobili che aveva cento anni fa con i cassettini verdi piccoli piccoli dove vengono conservati i pennini per le stilografiche o i gommini. Sul grande bancone in legno sono poggiati alcuni coloratissimi libri per bambini messi là quasi a caso per far in modo che i piccoli clienti li possano sfogliare e apprezzare, sulla destra un’intera vetrinetta è dedicata a alla produzione stupenda di Henry Beyle. Già mi è entrato un sorriso fisso sulla faccia, difficile da dissimulare.

E poi c’è Edoardo Fonti. Sembra disegnato apposta per questo posto così curato e particolare. La sua cortesia è raffinata. Ama descrivere ogni oggetto messo in vendita o esposto nello spazio: dalla colla che si usava negli anni 40 ai pennini dei primi del ‘900. Io sono estasiata, lui è entusiasta.
In questo idillio, insieme, vaghiamo per la Bonvini che è e che fu col cuore allegro e lo stupore negli occhi. La voce di Edoardo narra la storia, le sue mani offrono al mio sguardo le testimonianze tipografiche. Lo ascolto: “Noi abbiamo riaperto l’anno scorso…” Per noi si intende un gruppo di eroi che quasi per caso, sicuramente per sensibilità, ha investito tempo, energia e fondi per continuare a far vivere questa testimonianza unica. “…per puro caso abbiamo visto l’insegna coperta dai sacchi di plastica e la cartoleria chiusa, così ci siamo informati. L’ultimo proprietario, Luigi Cambieri, il genero di Bonvini, aveva deciso di chiudere perché a 85 anni non se la sentiva più di sollevare ogni giorno la saracinesca e continuare a stare dietro il bancone. Le sue figlie non ne volevano sapere e lui proprio non aveva più energia. Stava per mandare tutto al macero…”
Tutto questo ben di Dio, questa meraviglia di bellezza e arte al macero? Edoardo sorride: “Poi siamo arrivati noi, e lui è stato davvero contento, la sua bottega poteva continuare a vivere. Sì, siamo riusciti a salvare tutto questo dal macero. È stato un cammino lungo durato quasi due anni, ma alla fine siamo riusciti a riaprire mantenendo lo spirito del luogo”.
Oltre cento anni di storia due soli proprietari: Costante e Luigia Bonvini, i fondatori nel 1909. Poi a seguire la figlia Leila e suo marito, per l’appunto Luigi Cambieri, che era entrato in azienda e il suocero l’aveva spedito alla Rizzoli a imparare a usare la macchina più moderna, una a caratteri mobili. “Proprio questa”, Edoardo indica una bellissima e lucida Heidelberg Stella.
Va bene la storia e l’ascolto, ma le mani, le dita, hanno i loro diritti. Quindi tocca per conoscere meglio. Curiosando tra scaffali e cassetti, che sono quelli che Costante Bonvini ha organizzato alla perfezione e che oggi consumati e bellissimi, mostrano la dolcezza del tempo che leviga e che rispetta. Dell’ordine delle cose stupefacente, necessario. Del rigore che garantiva a ognuno di questi artisti di sapere esattamente dove fosse ogni minuscolo oggetto.

Le mie mani toccano la storia. Per chi vive il virtuale, ma ha nel cuore la passione dei saperi, è poesia. Ci sono ancora i caratteri tipografici usati prima della Grande Guerra tutti fatti a mano, tutti di una precisione sorprendente. E mentre Edoardo continua a parlare io cammino muovendomi tra le macchine tipografiche originali che in questa tipografia si sono usate fino al 2013 e che sono funzionanti ancora oggi. I miei occhi si spostano da un oggetto all’altro, da una storia all’altra, da un’anima a un’altra. Conservato in perfetto stato il box costruito da Bonvini per esporre all’Expo del 1928: una porticina, una finestrella e tanta semplicità.
Mi colpisce la riproduzione artistica del campanile che ho visto all’entrata. La riproduzione di via Tagliamento che però non è tanto fedele alla realtà. A Costante Bonvini, infatti, piaceva l’idea che la chiesa fosse più grande e che il campanile dominasse la strada, così ha messo insieme diverse foto e ha modificato la prospettiva così come preferiva. Io guardo la strada, la confronto con la riproduzione e ancora una volta non posso far altro che meravigliarmi per la genialità usata per regalare al mondo la sua magia.
Edoardo mi mostra un’incisione a mano stupenda. L’esterno della tipografia fatta con una precisione da togliere il fiato, ogni cosa, anche il più piccolo dettaglio è fatto in maniera perfetta.
Appesa al muro c’è la bici che serviva per le consegne già nel 1947. La usava anche Sabino. Lui è un altro protagonista della storia: 88 anni, per sei anni tra il 1949 e il 1955 ha lavorato da Bonvini. “Un po’ di tempo fa è passato per la tipografia e con le lacrime agli occhi ha chiamato sua moglie al telefono e gli ha fatto notare che la bici, quella che lui usava per le consegne, era ancora là”, racconta la nostra guida.
Sono in un luogo di culto. Me ne accorgo perché le persone, da tutto il mondo, arrivano per vedere questo piccolo museo vivo all’arte tipografica. Parliamo anche di Pulcinoelefante e di Alberto Casiraghy. È appena uscito il film di Silvio Soldini e presto lo proietteranno in cortile, perché Bonvini è anche luogo di incontro, di cultura viva, di trasmissione di saperi. Come da noi nell’Edicola 518.
Alla fine, compro la mia carta da lettera par avion degli anni 40, con buste raffinate e belle.

Ho annusato la Coccoina, ho toccato con mano la bellezza. Ho fotografato i caratteri fotografici, ho sognato, mi sono lasciata trasportare dal flusso di tutto questo che adesso per una restituzione naturale scrivo per voi. E vorrei concludere con una dedica alla gentilezza. Si respirava in questo luogo, in questo progetto. C’è bisogno di tutto ciò.

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