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di Antonio Brizioli

 

“Ma che cazzo sta succedendo qua?”

Queste sono le prime parole che ho rivolto a Nikola, un amico caro, mentre mangiavo degli ottimi cevapcici e bevevo una birra ghiacciata in un ristorante della città vecchia di Skopje. Un lungo abbraccio di chi è felice di ritrovarsi dopo tanto e poi quelle parole, spontanee, inevitabili, così ovvie che lui ha capito subito a cosa si riferissero.

Arrivare a Skopje dopo un lungo tour dei balcani schiude scenari del tutto insospettati. Salendo dalla Grecia si resta avviluppati in una natura dirompente, quasi amazzonica. La si attraversa per una superstrada discutibile ma tutto sommato efficiente e si arriva nella capitale, una città di circa 700.000 abitanti, un terzo di quelli che abitano complessivamente uno dei sette paesi risultanti dalla disgregazione della ex Yugoslavia.

Se si visita Skopje impreparati, senza sapere nulla, davvero si rischia di rimanere per un attimo in bilico fra sogno e realtà, in un limbo che solo dopo la fatidica domanda “Che cazzo sta succedendo qua?” si può provare a sciogliere.

Prima di spiegarvi cosa sta effettivamente succedendo voglio provare a dirvi cosa si vede al centro di Skopje, confortato dalle foto che allego all’articolo. Un delirio neoclassico di templi bianchi e edifici circondati da peristili; un susseguirsi di monumenti fuori scala che celebrano la gloria macedone, madri che allattano figli, eroi della patria e leoni sacri; musica nazionalista in filo diffusione dagli altoparlanti posti sulla piazza stile Gardaland; giganteschi galeoni-ristorante cementificati sul fiume in secca che attraversa la città con la sua acqua fangosa; un arco di trionfo totalmente deturpato da scritte e schizzi di vernice; una statua equestre di Alessandro il Macedone che poggia su una piattaforma di mattonelle da bagno e faretti da discoteca; cantieri aperti da ogni parte in cui procede a marce forzate questo riassetto architettonico della città e barricate poggiate intorno ai monumenti che testimoniano di un clima piuttosto teso.

Questo è ciò in mezzo a cui ci si trova catapultati. Veniamo allora al punto di cui sopra, “che cazzo sta succedendo?”.

Nikola parte da lontano, parlando della storia e della cultura macedoni, della lotta con i greci per il primato culturale, dei mutamenti territoriali, della fase ottomana… Io sarò un po’ più breve.

Dopo il crollo della Yugoslavia la Macedonia vive un periodo di riassetto come tutti gli altri paesi di nuova formazione. Al governo vanno subito i socialdemocratici, che rappresentano il punto di continuità con la precedente burocrazia comunista e che con la loro corruzione alimentano un grande malcontento e una pari voglia di rinnovamento. Questi due elementi portano infine al governo, nel 2006, il VMRO di Nikola Gruevski, un partito ultranazionalista che si era contraddistinto per l’opposizione a Tito e che prende il nome da una vecchia organizzazione rivoluzionaria che aveva combattuto l’Impero Ottomano.

Fra le prime iniziative del partito vi è la diffusione di una serie di rendering che pubblicizzano la città del futuro (o meglio del passato) e di fronte ai quali, mi confessa Nikola, all’inizio ci si facevano anche delle belle risate: “Non possono fare una cosa del genere”. Purtroppo però il nazionalismo ha la capacità di trasformare gli scherzi da bar in asfittiche realtà e le operazioni cominciano l’una dopo l’altra. Il piano è coprire tutti gli edifici ereditati dal regime di Tito (consistenti di architetture brutaliste che testimoniavano la voglia di progresso del paese e che erano aggiornate alle migliori istanze costruttive del tempo) attraverso queste architetture neoclassiche che, oltre ad essere deliranti, risultano anche contrarie ad ogni principio di buon gusto architettonico: facciate senza nulla dietro, timpani puramente estetici, povertà di materiali e idee, la maestà del marmo replicata con delle strutture di polistirolo espanso le cui finiture sembrano riprese da un libro da colorare per bambini dai 3 ai 6 anni.

Uno scherzo diventato realtà, questo è oggi Skopje, dove i nazionalisti hanno mantenuto il consenso attraverso repressioni, soprusi e elezioni truccate. In questo gioco perverso, per intercettare le telefonate degli oppositori, si sono intercettati loro stessi, mettendo le prove dei loro reati nelle mani della magistratura. A questo punto però, per impedire allo scandalo di divampare e porre fine al dominio di cui il paese è preda, l’attuale presidente macedone Gjorge Ivanov (erede di Gruevski e fedele alla sua linea) ha accordato la grazia ai 56 politici indagati, compreso il suo predecessore.

A seguito di questi eventi, la scorsa primavera, le proteste sono state immediate e energiche. Migliaia di studenti, artisti e giovani arrabbiati si sono accaniti con bombe di vernice proprio sulle candide architetture che celebrano lo spirito della Macedonia e che risultano oggi scarabocchiate, sfregiate, bombardate di colore da chi non accetta di vivere in una città di cartapesta, dove i rivestimenti neoclassici hanno seppellito sogni di progresso e speranze di futuro.

I pensieri vanno subito alle città ideali progettate o parzialmente realizzate dai grandi dittatori. La più folle, che per fortuna non ha mai visto la luce, era la Berlino che Hitler stava studiando insieme al suo architetto di corte Speer per celebrare la vittoria della seconda guerra mondiale. Un arco di trionfo grande 16 volte quello napoleonico, un asse colossale per le parate militari, una cancelleria con una cupola di un kilometro quadrato, per la costruzione della quale erano già stati allertati 100.000 prigionieri sovietici e 15.000 cechi. Tutto doveva essere pronto per la grande Esposizione Universale del 1950, per nostra fortuna impedita dal successivo corso della storia.

Le scale dei progetti sono differenti, ma il punto è sempre quello: nascondere, coprire, distruggere la storia delle città con la scusa di celebrare lo spirito del popolo. L’unica differenza è che ovviamente Hitler, che aveva già messo al lavoro tutte le cave di granito italiane, norvegesi e svedesi, di certo non avrebbe utilizzato come materiale da costruzione il polistirolo espanso.

Mentre a Skopje il celebrativo incontra il grottesco, l’arco di trionfo è ispirato a quello di Las Vegas piuttosto che a quello di Parigi; la povertà dei materiali fa sì che l’inquietudine di 600 milioni spesi in colonnati e statue in un paese dove lo stipendio medio è di circa 200 euro al mese, non riesca comunque a impedire a un timido sorriso di farsi strada in mezzo alle labbra. Uno scherzo da bar è diventata una dura realtà contro cui combattere; un voto di protesta ha dato luogo a una piccola e fastidiosa dittatura.

Ecco che cazzo è successo, in Macedonia.

 

Ecco il reportage fotografico che ho realizzato direttamente sul posto lo scorso agosto:

 

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