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Secondo appuntamento con Francesco Thérèse. Una settimana fa Troppo bianco per essere nero, troppo nero per essere bianco, bello e intenso testo, ci portava per mano nelle mille lingue di Torpignattara, tra sorrisi abbaglianti, poeti di strada e peschi in fiore anche di notte. Una introduzione in questo mondo di magia nel quale state per immergervi…
 
di Francesco Thérèse
L’uomo che cammina all’indietro sta fermo, in piedi, all’angolo fra via Di Torpignattara e via Pietro Rovetti.
 Dimostra 35 anni mal digeriti. 
Aspetta qualcosa, probabilmente che il semaforo diventi verde. Intanto stende un pantalone della tuta sul reggimano che fa coppia con lo scendino per disabili, lì alla fine del marciapiede. Lo vediamo col volto sereno, i muscoli rilassati; la solita birra in mano.
 La sua camminata è spesso sincopata, come un pattern jazz.
 Altre volte è sgusciante, come se indossasse un abito bianco e dei mocassini neri. In entrambi i casi è all’indietro.
 L’amore per alcol è sempre forte, e altrettanto la morte. 
I suoi occhi sono di un verde spento, scontrosi come l’acqua di Ostia. Eppure spesso ci imbattiamo in lui e quello che scopriamo è quanto di più semplice esista: un sorriso. 
Non lo vediamo mai mangiare carne, né comprarla dal macellaio: si rifiuta di mangiare carne da decenni ormai, da quando ha saputo che il suo personaggio dei fumetti preferito era un vegetariano incallito. Non c’è stato nessuno che abbia osato dirgli che si trattasse del matematico greco nato a Samo nel 570 a.C., e non di quello nato a Paperopoli.
 Ogni giorno fa avanti e indietro su via Di Torpignattara, travolto da una giungla di persone che non lo vogliono, lo evitano e lo detestano. 
Che gli passano attraverso.
Non c’è dato sapere dove stia di casa: lo vediamo spesso tra un fioraio, la Coop ed un fast food di secondo livello che rimanda nell’immaginario collettivo a Los Pollos Ermanos. Sicuramente ci sono polli; non sappiamo quanto siano fratelli.
 Eppure ci sarà stato un giorno in cui si sarà messo ad osservare i fiori. Un giorno in cui si sarà accorto del mondo che lo circonda, così come qualcuno nel mondo che lo circonda si sarà accorto di lui. Quello che vorremmo è tornare indietro a quel momento, che sarà stato un istante, ma almeno è esistito, poco prima che cadesse nell’oblio.
Perché di oblio si tratta, come adesso che è seduto sul
marciapiede, birra in mano, e non ci è chiaro chi stia guardando.
Non è chiaro neanche se stia guardando.
Apre e chiude gli occhi ritmicamente, come se stesse comunicando con l’intero Universo attraverso il codice morse: “ho troppo caldo. No, ho troppo freddo”.

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