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di Pancrazio Anfuso

Abel Temesgen era un ragazzo di 17 anni, fuggito dal suo paese, l’Eritrea, da anni vittima di una dittatura sanguinaria che uccide, tortura e costringe la popolazione a stenti inenarrabili.
Il giovane profugo è morto qualche giorno fa investito da un treno a Bolzano. Voleva raggiungere il fratello a Francoforte. Da minorenne aveva diritto a viaggiare per ricongiungersi con un suo familiare, ma non lo sapeva. Ha provato a saltare su un treno merci come facevano gli hobos nell’America della Grande depressione. Non ce l’ha fatta.

Abel era un migrante transitante. Gente in fuga dalla guerra, che proviene da Eritrea, Sudan, Etiopia, Siria, Afghanistan e da altri posti martoriati dalla violenza e dalla fame, che accetta rischi mortali pur di arrivare in Europa e sottrarsi a un destino segnato. I transitanti sbarcano in Italia o in Grecia e viaggiano verso destinazioni lontane: Francia, Belgio, Olanda, Germania, Scandinavia. Vorrebbero raggiungere parenti che si trovano già lì e presentare domanda di asilo. Incappano nelle procedure burocratiche, però, e nella mancanza sostanziale di tutela.

Così viaggiano attraverso l’Italia dopo un’identificazione fatta allo sbarco, evitando di presentare domanda di asilo nel nostro paese per puntare al loro obiettivo finale. Nel lungo e travagliato percorso hanno bisogno di assistenza: dormire, mangiare, curarsi, informarsi. Altrimenti rischiano di fare la fine di Abel. Si tratta di donne, uomini e bambini, che in molti casi arrivano da soli. Non hanno denaro e spesso hanno visto morire i propri familiari, gli amici, i compagni di viaggio. E sono sopravvissuti.

A Milano hanno deciso di prendere atto della situazione, che esiste e non la si può ignorare, e da maggio il Comune ha messo a disposizione dei transitanti e dei richiedenti asilo un luogo, di proprietà di Grandi Stazioni e Ferrovie dello Stato, dove possono trovare accoglienza e assistenza. Il cosiddetto Hub di via Sammartini.

A Roma, invece, è andata in scena la solidarietà dal basso. Un gruppo nutrito di cittadini si è fatto carico del problema e ha cominciato ad accogliere in proprio i transitanti, utilizzando una piccola struttura, sita a Via Cupa, nei pressi della Stazione Tiburtina. Baobab Experience è nata così e ha nutrito, vestito, ospitato e assistito decine di migliaia di migranti, profughi e transitanti per mesi, suscitando diverse reazioni.

Da una parte la solidarietà della gente comune, che ha offerto contributi in denaro e in natura e si è unita al gruppo dei volontari, lavorando gratis in turni regolari per garantire l’assistenza necessaria agli ospiti della struttura.
Dall’altra il crescente fastidio delle istituzioni, culminato con la serie di sgomberi che si sono susseguiti negli ultimi mesi e che hanno bloccato l’attività dei volontari, costringendo gli ospiti della struttura a dormire all’addiaccio, privi di servizi igienici.

Una situazione grottesca. I volontari colmano una lacuna: ad attivarsi per garantire il deflusso dei profughi dovrebbero essere le istituzioni, prendendo atto di una situazione che è sotto gli occhi di tutti. Non è adducendo motivi che hanno a che fare con la burocrazia, le autorizzazioni o il trascorso specifico malaffare di Mafia Capitale che si risolve il problema. I profughi continuano ad arrivare perché continuano violenze e torture nei loro paesi. Non è possibile non prenderne atto, così come non è possibile respingerli e rimandarli a morire a casa loro.

Occorre fare uno sforzo e consentirne il passaggio mettendo in piedi un minimo d’accoglienza. Solo aiuto umanitario: cibo, alloggio, servizi igienici, assistenza legale per le procedure di richiesta asilo, cure. Milano c’è riuscita, Roma ha lasciato che se ne occupassero dei privati, salvo boicottarne lo spirito di solidarietà. Il tutto mentre si fa appello al sentimento solidale per i senza tetto dei terremoti, nell’anno in cui gli appelli di Papa Bergoglio alla solidarietà e all’accoglienza si sono moltiplicati nell’ambito del Giubileo della Misericordia, mentre ancora non si è spenta l’eco dell’incresciosa vicenda dei profughi rifiutati di Gorino. Quante contraddizioni.

Da tempo il nostro Paese è in preda a una paura insensata, alimentata ad arte da interessi di bottega di alcuni politici e da una comunicazione irresponsabile. Vengono meno, così, i meccanismi di solidarietà più elementari, quelli che hanno mosso i volontari di Baobab Experience, che poi sono gli stessi che muovono gli aiuti verso i luoghi dove c’è bisogno: alluvioni, terremoti, sbarchi, che differenza fa? Gli italiani sanno rispondere a certe richieste, lo vediamo quotidianamente.

Non si capisce perché l’accoglienza dei profughi non dovrebbe essere considerata un preciso dovere. L’aiuto umanitario: c’è qualcosa di più elementare? Dare da bere agli assetati, ricoverare i malati, coprire gli ignudi. È l’ABC. È il pane quotidiano di chi crede in dio o nell’uomo. Da noi, no. Non per tutti.

Ci si chiede come mai non sia da proteggere Baobab Experience, che ha saputo fornire un così alto esempio di solidarietà contando sulle sole risorse messe a disposizione da privati cittadini e dalle organizzazioni che si sono unite allo sforzo dei volontari, ospitando nel giro di un anno più di 50.000 persone in transito. Leggo sulla loro pagina facebook:

“Nel 2004 nasce il Centro Baobab, una vecchia vetreria abbandonata, situata in via Cupa 5 tra il piazzale del Verano e la stazione Tiburtina. In questi anni il centro è stato utilizzato per attività culturali e di prima accoglienza. Dal 12 giugno 2015 questa struttura è diventata un contesto di azione autogestita da parte di liberi cittadini che spontaneamente hanno prestato il loro tempo per accogliere migranti o rifugiati in transito sul territorio romano. Siamo, quindi, un movimento formato da cittadini, lavoratori, disoccupati, studenti, medici, artisti e persone di ambi i sessi, di ogni ceto sociale e di ogni generazione che da mesi si stanno mobilitando per i diritti dei migranti e il loro libero transito”.

Chi sono i “transitanti” presso il Baobab Experience?

Trascrivo da internazionale.it, “Lo sgombero dei migranti al Baobab rispecchia lo stallo politico di Roma”, di Annalisa Camilli:

Dal 15 giugno al 30 settembre del 2016 la Rete di consulenza legale ha assistito 400 migranti in transito nella capitale: il 74 per cento era costituito da cittadini eritrei, il 5 per cento da etiopi, il 14 per cento da sudanesi e il 6 per cento da somali. Il 50 per cento dei sudanesi era a rischio espulsione, anche a causa degli accordi di cooperazione firmati il 4 agosto dall’Italia con il Sudan in materia di immigrazione.
ll 97 per cento dei migranti intervistati ha dichiarato di volere andare nel Nordeuropa, dove il 34 per cento ha raccontato di avere dei familiari. Il 15 per cento delle persone era in viaggio con una parte della sua famiglia. Il 35 per cento dei migranti era costituito da donne.
Nel 28 per cento dei casi, in particolare per i cittadini provenienti dall’Etiopia, dalla Somalia e dal Sudan, non è stato possibile attivare la procedura di ricollocamento all’interno dell’Unione europea a causa dei criteri restrittivi e discriminatori di questo strumento, anche se si trattava di migranti che chiedevano la protezione internazionale. Giovanna Cavallo, una delle volontarie, durante la conferenza stampa ha precisato: “Vogliamo ricordare all’assessora Baldassarre che gli oromo, per esempio, fuggono dall’Etiopia perché sono perseguitati”. Tuttavia per loro non è prevista la possibilità di accedere ai programmi di ricollocamento a cui possono partecipare solo eritrei e siriani.
Secondo il rapporto delle associazioni, infine, quasi tutti i transitati passati da via Cupa sono stati identificati e fotosegnalati negli hotspot italiani, istituiti dall’agenda europea sull’immigrazione del maggio del 2015. Ma la maggior parte dei migranti non era informata sui suoi diritti e doveri e sui limiti imposti dal regolamento di Dublino per i richiedenti asilo.

Perché a un movimento del genere si impedisce di operare?
Perché si fa la guerra alla solidarietà?

Se si tratta di codificare gli aiuti in ossequio a tutte le regole vigenti, si può prendere in mano la situazione e affiancare o sostituire il centro di aggregazione spontanea con una struttura dotata di tutti i crismi della legalità. Invece le istituzioni non hanno ritenuto di dover agire al fianco dei cittadini, lasciando cadere le loro proposte per l’individuazione di un centro idoneo all’accoglienza (ne erano stati proposti almeno due) e negando addirittura l’autorizzazione a utilizzare un parcheggio in disuso nei pressi della Stazione Tiburtina per montare le tende messe a disposizione da MEDU e da privati cittadini.

Le promesse fatte dal commissario Tronca prima e dalla sindaca Raggi poi cadono nel vuoto, saltano appuntamenti e non si mantengono propositi. Sembra non si voglia accogliere per evitare che il numero dei transitanti possa salire. Ma è una contraddizione in termini, se sono transitanti. Intanto il tempo passa e piove sulle nostre miserie, ma soprattutto sulle vite in fuga di queste persone. Perché sono persone!
Nei loro occhi si può cogliere la sofferenza e la paura, e sono occhi come i nostri. Se li guardassimo forse capiremmo che non ha senso chiudersi a riccio e negare l’essenza stessa di un Paese come il nostro.

In nome di che? Dei soldi no di certo, visto che lo sforzo solidale di pochi cittadini ha consentito di accogliere e sfamare migliaia di persone in transito.
Del decoro? Non è ridicolo solo parlarne, quando una città come Roma è sommersa dall’immondizia e dall’incuria? E come si concilia con la domanda di decoro la determinazione con cui si lascia che dormano per terra, al freddo e alla fame, bambini, donne e uomini che fuggono dal terrore e dalla guerra?

Baobab Experience ha una pagina facebook su cui regolarmente pubblica liste di materiali necessari ai servizi di accoglienza che vengono svolti, sperando che possano continuare.
Per chi non potesse recarsi sul posto, c’è la possibilità di sostenere con una donazione.

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