CONDIVIDI

 
 
Quella che segue è la quarta parte del diario, scritto da Soledad Nicolazzi, sul viaggio in Etiopia, attraverso laboratori e messe in scena, di “Miraggi Migranti”, spettacolo teatrale che nasce dal sogno artistico e umano di Alem Teklu, scultrice etiope.

di Soledad Nicolazzi

8 agosto: partenza
Ci troviamo all’aereoporto di Malpensa, io Alessandra e Valentina.
Alessandra è la musicista, amica e collega con cui lavoro da anni. Valentina invece, videomaker. La conosciamo di persona oggi stesso, sostituisce Barbara, che ha seguito il progetto dall’inizio ma che non può partire con noi per motivi di salute.
Ci troviamo un po’ prima della chiusura del volo per distribuire nelle valigie tutta la strumentazione tecnica e musicale: Alessandra, oltre ai suoi innumerevoli piccoli ammennicoli da rumorista ha portato con sé una batteria elettronica, una pianola, un piccolo dimmer, una serie di cavi e microfoni. Valentina quattro telecamere di varia grandezza e cavalletti. Completano l’attrezzatura di entrambe due computer portatili. Ci dividiamo il tutto, tentando di restare dentro pesi e misure, infiliamo a forza nelle valigie scarponi, kway e qualche cambio di biancheria e via, partiamo!
Sono felice: è emozionante prendere il volo insieme per questa avventura.

Arriviamo ad Addis e il brulichio della città è un po’ smorzato rispetto al solito. Mi chiedo se è la pioggia. Ma al centro del Ccm, dove dormiremo una notte, ci raggiunge Stefano, il coordinatore del progetto a Goba e ci racconta che nelle ultime ore la situazione nel paese è piuttosto tesa:
Ci sono state manifestazioni contro il governo, qui ad Addis ma anche nell’Oromi region, la nostra meta. Per questo internet è bloccato e anche alcune strade. Nel paese risultano al momento circa un centinaio di morti e pare che per domani siano previste altre proteste lungo la via che dovremmo percorrere… dunque forse non possiamo partire.

Nel pomeriggio facciamo di nuovo il punto e questa è la situazione:
1. ci hanno revocato il permesso di fare spettacolo nei villaggi;
2. la farnesina ha dato indicazioni abbastanza precise: evitare assembramenti, e muoversi solo se necessario;
e 3. (last but not least) a Goba si sono verificati alcuni casi di colera, e il piccolo ospedale in cui vengono trattati sta proprio vicino a casa nostra.
Al tutto si aggiunge una pioggia scrosciante.

Dobbiamo decidere il da farsi: ce la sentiamo di partire? Vale la pena fare solo la prima parte del progetto, ovvero finire di montare lo spettacolo dei ragazzi aggiungendo l’aspetto musicale e fare un paio di repliche a Goba, sia del loro lavoro che del nostro e rimandare invece la tournee nei villaggi a più avanti, sperando che la situazione politica nel paese si calmi? Oppure è meglio tornare in Italia e riprovarci fra qualche mese?
Stefano dice che a Goba tutto sembra tranquillo, come sempre. Ma ci tiene a farci sapere che siamo un potenziale bersaglio: il nostro lavoro fa parte dei progetti del Comitato di Collaborazione Medica che ovviamente, per operare, collabora con le istituzioni. E in Oromi region rivendicano l’indipendenza dal governo centrale.
Sospendiamo il tutto fino a domani mattina, quando anche Alem ci raggiungerà: la decisione spetta anche a lei: In Etiopia ci sono circa ottanta etnie ma l’etnia al governo è quella del Tigrai. Alem viene da Mekellè, e i tigrini al momento non sono visti molto bene tra gli Oromi.

È scesa la notte, come sempre qui improvvisamente. Chiudo gli occhi e penso:
Su un piano ci sei tu, con tre amiche e venti ragazzi con cui hai stabilito un rapporto di fiducia e di affetto, il tuo spettacolo, il tuo piccolo orizzonte di senso. Dall’altro i governi, i permessi, la burocrazia, le guerre, le frontiere…
Puoi stare anni dentro al tuo cantuccio di senso, ricavandoti un mondo, dei compagni, una ragione di esistere anche, ma ad un certo punto storia con la S maiuscola entra nella tua vita, come al solito, senza bussare. Così un piccolo progetto a cui hai voluto bene per mesi improvvisamente svanisce come polvere, e tu puoi ben fare poco. E per te si tratta di una breve parentesi. Se noi ci sentiamo come delle bandiere al vento, come si sentiranno i nostri ragazzi? Forse è anche a causa di questa eterna precarietà dell’esistenza, che i giovani emigrano..

9 agosto: biliardino in Oromi region
Arriva Alem con un turbante in testa, sembra la regina di Saba, e cambia il colore delle cose. Sorridente, testarda e ironica, dice che nella vita il rischio lei l’ha già messo in conto e che è pronta a partire. Ci racconta inoltre che all’Università di Mekellè sono molto interessati allo spettacolo e che la replica prevista per inizio settembre forse la possiamo anticipare a fine agosto, vista l’impossibilità di fare la tournee nei villaggi del sud.
Nel frattempo Stefano ha trovato una strada alternativa a quella solita, più lunga ma più sicura, che prevede una tappa a Kofale, in un convento di cappuccini.
Decidiamo di partire.
Il viaggio è lungo, ma in fondo sono contenta di fare un’altra strada: altri paesaggi, sconfinati, la zona dei laghi è meravigliosa. Nei grandi fiumi, gruppi di ragazzini fanno il bagno tutti nudi, campi e campi di mais, grano, alberi di banane dalle cui foglie, ci dice Juissuf, ricavano farina…
Viaggiamo su un pulmino da 9 e non sulla solita comoda gip: un po’ perché siamo in tanti, un po’ perché così, dice Stefano diamo un po’ meno nell’occhio: le macchine belle qui ce l’hanno i turisti oppure i governanti.
Arriviamo a Kofale nel tardo pomeriggio. La cittadina è parecchio animata e a sentire i commenti dei miei compagni di viaggio qui sono molto orgogliosi. In mezzo all’unica piccola rotonda sta una bella statua di una donna Oromi. È una delle prime che vedo, qui a sud.
Nel convento dei cappuccini ci sono una scuola, un asilo e una foresteria. È tutto molto pulito e in ordine ma l’alto muro di cinta e il filo spinato ci fanno immediatamente venire voglia di evadere. Usciamo per una partita a biliardino nella strada a fianco, i bambini ci chiamano “forengi, forengi”, i ragazzi si aggiungono al gioco divertiti, insomma sembra tutto normale.
Ma internet non funziona, non riusciamo a comunicare con casa e durante l’ottima cena offertaci dal vescovo in persona veniamo a sapere che a Robe, la città vicina a Goba oggi sono morte dieci persone.

11 agosto: primo giorno a Goba

I ragazzi li incontriamo al mattino; sembrano stanchi, come se gli avessero staccato la spina.
Ci sono quasi tutti, salvo Josef, sua sorella Fzum e la fidanzata Betti.
Il mese scorso sono emigrati ad Addis, pare che Betti abbia già trovato un lavoro, in una fabbrica di fiori.
Succede spesso che nei laboratori qualcuno lasci durante il percorso, ma in questo caso sento un particolare vuoto; forse perché Josef è quel che si dice un animale da palcoscenico: di bella presenza, con una voce profonda e grande capacità di concentrazione. A giugno ho spesso contato sulla sua sensibilità e sulla sua attenzione nel passare agli altri gli esercizi più difficili…
O forse perché perdere per la strada tre ragazzi in un percorso che ha come obiettivo ultimo il limitare l’emigrazione giovanile… bè è un po’ come una piccola sconfitta. Mi chiedo se la giovane Fzum, l’unica che ha iniziato a fare questo laboratorio dicendo espressamente che vorrebbe fare l’attrice stia trovando ciò che cerca, nella grande città.
Infine Sancho non si muove bene: ha una caviglia fasciata. È davvero per un incidente o ha partecipato agli scontri di ieri a Robe? Riuscirà a fare lo spettacolo e a ballare? Mi assicura con il suo solito entusiasmo che è tutto a posto e che fra un paio di giorni camminerà di nuovo.
Però c’è una bella sorpresa: una ragazza vorrebbe aggiungersi al gruppo. Salam è molto bella e sembra sveglia anche se timida… a malapena riesco a sentire il suo nome.

Facciamo le presentazioni, raccontiamo che staremo solo dieci giorni, che finiremo di montare il lavoro e che faremo due repliche nel cortile dietro al centro, sia del loro spettacolo che del nostro, che siamo riuscite, con mille peripezie a portare fino lì. Diciamo chiaramente che questa scelta non è volontà nostra: noi nei villaggi ci saremmo anche andate, ma non ci è stato dato il permesso.
Alessandra spiega brevemente il percorso che intende seguire per l’aspetto musicale e Valentina mostra le telecamere: è qui per documentare il viaggio ma anche per insegnare loro ad usarla: a turno potranno portare una piccola telecamera a casa e riprendere un soggetto. Vedo qualche sguardo accendersi… credo che alcuni una telecamera, non l’abbiano mai vista.
La prima cosa che faremo sarà tradurre il testo in Oromi, perché in questo momento fare uno spettacolo in amarico, la lingua nazionale sarebbe poco gradito in tutta la regione. I ragazzi capiscono ma sono un po’ perplessi: non tutti parlano l’oromi: Goba è un po’ un’eccezione rispetto ai villaggi e le cittadine intorno, qui si parla l’amarico, perché confluiscono e convivono etnie e religioni differenti.

La mia frequentazione nei balcani mi porta l’immagine di Saraievo, prima della guerra. Il gruppo dei ragazzi è molto eterogeneo, oggi si tengono per mano e giocano insieme a pallone in cortile. Mentre li guardo spero che l’ingrediente etnico non sia la miccia che farà scoppiare la polveriera.

Nel pomeriggio De Sale, che segue i ragazzi nel progetto, fa loro un discorso molto accurato sulle norme igieniche che sono da attenersi per evitare il contagio da colera. I ragazzi ascoltano attentamente, ma è come se fossero schiacciati contro il muro. Anche noi, tra la stanchezza del viaggio e tutti questi discorsi, abbiamo lo guardo spento.

Poi qualcuno mette della musica e i corpi si accendono: eccoli con i loro diciassette anni, che ridono, che ballano… e in questo momento penso che si, le difficoltà non mancano per niente, ma che sono proprio felice di essere arrivata fin qui con le mie amiche e di ricominciare il lavoro con questi meravigliosi ragazzi.

12 agosto
Oggi ci svegliamo con il sole e già tutto ha un altro aspetto. Vado a fare yoga in cortile, lavo la stanza in cui lavoreremo, mi lavo persino i capelli.
I ragazzi arrivano alla spicciolata, io, Alessandra, Alem e Valentina abbiamo fatto un programma di massima della giornata, e cominciamo subito con un risveglio energetico, una sorta di danza. E poi un esercizio in cui ci si incontra. Con gli occhi, con le mani con i piedi… un gioco in cui ci si tocca, ci si accarezza, ci si riconosce: sei tu? Sì sono ancora io, siamo ancora noi e abbiamo ancora voglia di giocare insieme, di fidarci l’uno dell’altro, di trovarci. Anche se a tre ore di macchina c’è l’esercito che si schiera, mi dicono dopo ulteriori proteste, proprio lungo la strada in cui siamo passate. Anche se prima di entrare tutti si devono togliere le scarpe, e lavare ben bene le mani…
La gioia è tanta, anche un po’ la meraviglia, il ritrovarsi è emozionante. E lavorare con Alessandra che suona il piano è bellissimo, per loro che non hanno occasione di sentire degli strumenti dal vivo è un regalo. Valentina riprende tutto, ma la sua presenza è così silenziosa che è come se non ci fosse…
A fine mattinata rifanno lo spettacolo già nella lingua Oromi, con le nuove maschere e con alcune sostituzioni. Sono concentrati, è un buon livello. Certo abbiamo molto da fare. Nel pomeriggio entriamo subito nel cuore del lavoro sui caratteri dei personaggi di una scena… parecchio tosto per il primo giorno… verso le quattro sono stremati… fortunatamente mi viene in mente di concludere con l’ampliare due canzoni con musica e danze. E lì esplodono con un’energia che mi chiedo dove tenevano nascosta, i maschi fanno una sorta di danza circolare tutti insieme a saltoni, ritmica che è veramente forte.

Dopo il laboratorio facciamo quattro passi da Ibraim, l’artista di Goba, il nostro dirimpettaio che ha costruito una capanna a due piani facendo il pavimento con plastica trovata in giro (60 quintali)…

Questi i link della prima, della seconda parte e della terza parte:
Miraggi migranti in Etiopia/1
e Miraggi migranti in Etiopia /2 Grotowski–Maometto 1 a 0
https://www.emergenzeweb.it/2016/12/miraggi-migranti-in-etiopia-3-linferno-prima-del-sogno/

to be continued

Lascia un commento

La tua mail non verrà pubblicata, * campi obbligatori