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di Antonio Brizioli

 

Chi di ambiguità ferisce, di ambiguità perisce. Il che sarebbe un problema, se non fosse che per noi morire è la prassi. E suonare gli strumenti in maniera impropria un valore.

Quanto sta accadendo a Perugia non può essere spiegato senza ricorrere al trascendente. La scienza non basta. La scienza non è mai bastata agli uomini insaziabili. Il 27 febbraio scorso in un giorno di sole abbiamo estratto un filo dalla bocca di Porta San Pietro, affinché sgusciasse irrispettoso fino alla Torre di Porta Sant’Angelo e di lì sfociasse simbolicamente a valle: verso i fiumi, i ponti, le piane e le nuove alture. Un inizio altamente bucolico che nascondeva tuttavia sviluppi sinistri. E nel giro di tre giorni la campagna virgiliana ha assunto i tratti mistici e inquietanti di un paesaggio di Friedrich. Già, Caspar David e noi fieri viaggiatori nella tormenta.

Ne parlavo ieri con un amico meteorologo, il quale mi spiegava che questo marzo è stato il più ventoso che si ricordi. Per trovarne uno in cui la tramontana si è espressa con altrettanta forza e perseveranza, bisogna risalire allo storico inverno del 1956, guarda caso celebrato da un gioiello d’arte scritto da Califano per Mia Martini, “La nevicata del 56”, delizia del Sanremo 1990.

Arte e freddo. Pioggia e poesia. Neve e sguardo all’infinito. I due aspetti storicamente sono legati stretti. E mentre scrivo queste poche righe il vento sbatte sulle finestre e mi impedisce di ascoltare il silenzio. Proprio oggi che il centro storico si è svegliato coperto da un sottile mantello di neve, già diventata acquetta mentre passavo alle nove su un corso Vannucci con più camion che umani. Dove d’improvviso la Fontana ha ripreso a funzionare, in un eterno ciclo di morte e rinascita che sembra alla base della nostra città. Il centro che muore e si risveglia. Gli studenti che vanno e vengono. La droga che passa di mano in mano. Il filo che resiste e se cade rinasce sotto nuove forme: come il bambino che rifiuti di indossare le scarpe imposte dalla madre ed esca comunque di casa, magistralmente scalzo. La cultura che ci circonda in modo così invadente per ricordarci che, per tanto che qui si parli di politichetta, neanche la più malaugurata delle gestioni potrebbe privare Perugia della sua intensità, del suo legame fra storia e presente in continuo aggiornamento.

E lo scrivo mentre revisiono la bozza finale di Emergenze numerouno, che sarà ancora più bello del precedente non solo in quanto più lungo (perché così sarebbe pornografia), ma in quanto più coinvolgente e appassionato. Sempre più opera collettiva, che collettivamente sarà presentata giovedì 16 aprile all’aula magna dell’Università per Stranieri. Da noi e da tutti quelli che non rinunciano a sentirsi stranieri nella propria città, per recuperare lo sguardo attento, il guizzo curioso, la zampata vergine. E sarà una grande festa, nel corso della quale tenteremo una pacificazione con questa natura visibilmente scossa dall’affronto che le ha mosso l’impertinente filo.

Partecipa alla presentazione di Emergenze numerouno, con frammenti di strada in università:

Giovedì 16 marzo, ore 17.30, Palazzo Gallenga, Aula Magna

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