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di Pollo Scatenato

 

Così a bruciapelo e senza farla troppo lunga? Peccherò di originalità ma la penso come Nino Ferrer cinquant’anni fa… Invece voi, partendo da quelli che non sanno nulla sul Brexit, e quindi leggeranno le prime tre righe per (non) capire di cosa si sta parlando, per passare a quelli che sanno, ma alla fine “a me che cazzo me ne ne frega a me”. No, davvero, quale altra domanda invece si pone, chi sa?

Il riferimento è a tutte le volte che il famigerato termine Brexit è stato lanciato nell’etere, come uno stereotipo della paura europea o un guanto di sfida britannico. L’uscita della Gran Bretagna dall’UE, indipendentemente dall’opinione che ognuno può averne, è solo l’ultima dimostrazione di come l’informazione cavalchi le notizie per imprimere un senso univoco alla nostra percezione della realtà, che converge miseramente con quella politica.
L’allarmismo si dipana a sirene spiegate, come negli attacchi aerei di 70 anni fa, cioè proprio quando le identità nazionali iniziarono di nuovo il loro lento processo di disgregazione.
Di quelle peculiarità nazionali e transnazionali rimane ben poco, anche per la velocità con cui l’Economia ha equiparato le culture e stravolto i connotati dell’attuale Unione Europea. Le dinamiche economiche hanno avvelenato le idee e le diversità, riuscendo a influenzare i principali comportamenti di massa del mondo occidentale, che ormai può anche essere identificato così, per questo cambiamento radicale delle abitudini più che per un discorso socio-culturale.

Cosa resta allora delle radici europee, ne stanno davvero crescendo delle nuove?
Dipende dal punto di vista. Perché sta verificandosi, sotto traccia, una spaventosa – questa sì – forma di distacco dettata dalla disillusione. Non solo inglese, ma anche di quei milioni di europei che vedono i propri governi nazionali confrontarsi con una sostanziale tecnocrazia, la cui scelta più grave continua ad essere il reclutamento di poteri e lo stanziamento di risorse per obiettivi distanti come rette parallele dalle necessità individuali e comunitarie. Lo stesso “a me che cazzo me ne ne frega” di cui sopra, ma dai risvolti ben più catastrofici.
La cecità con cui è stata creata un discontinuità così netta tra economie e necessità culturali ha concretizzato l’addio a un senso di appartenenza collettiva, al punto che oggi parlare di confini e solidarietà rischia di assurgere a gesto di libertà. Parlare di Brexit, invece, significa parlare di urgenze economiche, di cambi di influenze commerciali, di isolamento monetario. È piuttosto l’apartheid culturale, razziale, religioso, che stanno scatenando di riflesso questa ed altre paure a sfondo finanziario, ad alzare i ponti su quella che alcuni hanno iniziato a chiamare “la consapevolezza della modernità”. Quella attuale esiste, ma è piuttosto una risposta molteplice e antitetica alle scelte di questi anni, e proprio per questo motivo manca degli strumenti concreti per poter coinvolgere tutti; mentre il famoso tessuto sociale è finito per somigliare sempre più alle esigenze dei governi: spaccato, intimorito, represso.

Il Brexit, come pure i disordini in Francia oggi e in Grecia l’altroieri, sono solo l’ultimo grido di inconsapevole risveglio che la globalizzazione delle Borse, dei mercati finanziari, dei governi affogati nel debito pubblico, ha offerto a un mondo occidentale stanco di non veder mai focalizzate le vere lotte, o riconosciute le esigenze di diritto, lasciando asfissiate le nuove direzioni sociali. Tutti brandelli di civiltà a cui deve ridare importanza e risposte la cultura in primis, non l’economia. Il fatto che viaggino separatamente, secondo prospettive e aspettative inconciliabili, è il punto di non ritorno di una società che ha ormai scisso la vita dalla sua necessaria interpretazione.

Per cui, per rispondere se siamo noi oppure no a dover preoccuparci del Brexit, c’è un’altra domanda, ancora più retorica, con la quale si ha persino la presunzione di tagliare la testa alla volpe. Come diceva appunto Nino Ferrer: qual è l’unico Re che c’era una volta e adesso non c’è più, ma ci sarà sempre?

Per chi ha veramente pensato “il popolo”… tre atti di dolore e da imparare a memoria un passo del Cristo inscenato a teatro da Klauss Kinski.
Il ricercato non indossa mai un’uniforme.
Diffonde idee utopistiche, è un sobillatore. Sono ricercato dalla polizia perché grido al mondo che l’attuale ordine del mondo non durerà.
Io non sono il Gesù della Chiesa ufficiale, accettato da poliziotti, banchieri, giudici, carnefici, ufficiali, capi della Chiesa, politici ed altri simili rappresentanti del potere.
Non sono la vostra superstar, che continua a recitare per voi la sua parte sulla croce e che voi schiaffeggiate appena esce dal suo ruolo. E che quindi non può gridarvi: “Sono stufo di tutto il vostro sfarzo e delle vostre cerimonie!.
Il vostro incenso è disgustoso, puzza di carne umana bruciata.
Non riesco più a sopportare le vostre sacre celebrazioni e festività.
Pregate per quanto volete, io non vi ascolto.
Tenetevi i vostri onori idioti e le vostre lodi.
Non voglio averci niente a che fare. Non li voglio.

1971 – K.K.

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