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Nonostante l’opinione pubblica guardi all’Africa sub – sahariana quasi come ad un peso nella storia dell’umanità, il continente ha contribuito molto più alla storia del mondo di quanto si possa pensare.  Recuperare una narrazione scevra di pregiudizi è dunque d’obbligo.

La prima cosa che notai, atterrato per la prima volta in Africa a Dar Es Salaam, fu un livello di umidità quasi soffocante. Entrato nell’aeroporto, la mia attenzione si spostò verso alcuni cartelli che invitavano – più o meno gentilmente – a non corrompere gli ufficiali governativi. Poche ore dopo, su un autobus in direzione degli altopiani meridionali della Tanzania, rimasi colpito dai villaggi situati a lato dell’autostrada: i negozi che intervallavano le baracche fatiscenti offrivano una vasta gamma di ‘sponsor’, solitamente Pepsi o Coca Cola, e solitamente una sola delle multinazionali aveva una certa ‘esclusiva’ su ciascun villaggio.

Parlare di Africa, oggi, riflette più o meno il mio percorso mentale. Ci si sorprende dell’ovvio, della povertà e della fame, dei conflitti e della corruzione, ma le vere sorprese di questo immenso continente si trovano più a fondo, in piccoli dettagli magari poco importanti, almeno all’apparenza. La quasi totale ignoranza riguardo la storia dell’ Africa sub – sahariana non ha solo a che fare con l’oblio riservato alla storia precoloniale, ma riguarda anche una lettura completamente appiattita della sua storia recente, soprattutto in termini di media ed opinione pubblica. In verità, di storia – e di storie – questo continente ne è pieno, dal Sahara al Capo di Buona Speranza. Che siano le storie dei grandi imperi Wolof, d’Etiopia o Lunda, o della grande lotta contro l’invasore europeo, o di personaggi come Julius Nyerere, Kwame Nkrumah o Samora Machel, uomini in grado di plasmare la storia dei loro Paesi e dell’Africa intera al pari di quando hanno fatto in Europa De Gaulle, Churchill e Spinelli.

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Kwame Nkrumah, padre del Ghana indipendente

Eppure, oggi, la parola Africa fa pensare soprattutto a guerre, carestie e povertà. L’atteggiamento del resto del mondo, con gli Stati Uniti e le ex potenze coloniali in prima fila, oscilla tra un genuino disprezzo spesso condito da un sottile strato di razzismo ed un paternalismo disarmante. L’opinione pubblica, in particolare, è spesso situata a metà tra queste due ipotesi, spesso strattonata, visti gli avvenimenti degli ultimi anni, verso la prima. Prevale una visione degli africani come arretrati, morbosamente attaccati a questioni ‘tribali’ (termine che, inspiegabilmente, assume quasi sempre una connotazione negativa) che alimentano il fuoco del conflitto, incapaci di rapportarsi serenamente alla modernità al pari del resto del pianeta. Si tratta di una visione incredibilmente parziale, figlia di un’informazione grossolana e superficiale, e di programmi scolastici dal carattere genuinamente eurocentrico, la quale costituisce tuttavia il nucleo centrale delle conoscenze in materia di Africa della maggior parte dell’opinione pubblica.

È sicuramente innegabile il persistere di situazioni di crisi politiche, economiche, sociali ed ambientali nell’Africa sub – sahariana, ma spesso non si ha una benché minima idea sulle ragioni profonde alla base dei problemi attuali del continente: rimane invece diffusa l’idea di un’Africa sempre povera, arretrata e sottosviluppata, rimasta fuori dal tempo e dalla storia fino al colonialismo o – comunque – fino alle prime interazioni con i naviganti arabi e portoghesi. Si arriva anche a pensare all’arrivo dei colonizzatori – soprattutto francesi ed inglesi –  come una benedizione per l’Africa, corrispondente all’agognato arrivo della civilizzazione. Gli africani non sarebbero stati in grado di sfruttare l’immenso lascito coloniale in termini di infrastrutture e cultura durante il processo di decolonizzazione e nei primi decenni dell’indipendenza, e questo spiegherebbe dunque la situazione attuale del continente.

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Panorama di lagos che, con circa 14 milioni di abitanti, è oggi la più grande metropolitana africana.

Eppure la letteratura in tal senso è piena di visioni alternative che prendono in considerazione la visione africana – strano ma vero – e ridisegnano l’esperienza coloniale dal loro punto di vista o, semplicemente, sfatano i luoghi comuni riguardanti la storia del continente. La situazione demografica attuale, ad esempio, che vede l’Africa come un continente sovrappopolato oltre le sue capacità, secondo una teoria squisitamente malthusiana, è in realtà una situazione estremamente recente. L’Africa sub – sahariana è stata per secoli un continente estremamente sottopopolato in termini assoluti e, soprattutto, in termini di densità. John Iliffe, nel suo ‘Africans: the History of a Continent’, plaude agli africani come ‘frontiera dell’umanità’, capaci di vivere e creare comunità anche fiorenti in alcuni degli ecosistemi più estremi del pianeta.

Gli europei che iniziarono a stabilire avamposti commerciali sulle coste africane iniziarono ad interagire con gruppi organizzati, i quali commerciavano un grande varietà di risorse. Nella successiva espansione verso l’interno per lo sfruttamento intensivo delle suddette risorse, tali comunità ebbero un ruolo fondamentale, e, parallelamente, il flusso costante di materie prime verso l’Europa ebbe un ruolo di primo piano per la rivoluzione industriale a partire dal diciottesimo secolo. Per non parlare dell’apporto alle economie europee ed americane dell’immensa forza lavoro derivante dall’infame tratta degli schiavi.

Più tardi, nel ventesimo secolo, l’Africa del processo di decolonizzazione e dei primi anni dell’indipendenza divenne un incredibile laboratorio di idee politiche e finanche sociali ed economiche. Sebbene con successi altalenanti, e finendo alla fine quasi sempre coinvolti nelle dinamiche relative alla contrapposizione tra blocchi, le politiche elaborate in seno alle società africane durante la seconda metà del secolo corso tenteranno con coraggio di trovare vie alternative allo sviluppo e alla definizione di società di stampo occidentale o sovietico. Un tale contributo è spesso sottovalutato, anche da chi, oggi, in Europa, nelle Americhe ed anche in Asia si sforza di trovare un nuovo approccio all’economia ed anche alla società.

Questo spazio, insomma, si propone un obiettivo semplice ed allo stesso tempo ambizioso: parlare di Africa. Anzi, di Afriche, delle moltitudini di sfaccettature che arricchiscono la storia, la società e la cultura di questo continente. E si propone, infine, di rielaborare il discorso sull’Africa, senza per questo ignorare la povertà, le situazioni di instabilità, le diseguaglianze sociali o la corruzione ma, piuttosto, nel definirle come dinamiche e non come caratteristiche imprescindibili delle società africane. Perché l’Africa, nonostante tutto, ha davvero il potenziale per diventare il continente del futuro.

Davide Gallucci 

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