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All’interno delle rivoluzioni del ’48 che sconvolgono la capitale prussiana, l’episodio del 14 giugno rappresenta un vero contrappasso storico.

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Barricate nella città di Berlino nei giorni della rivolta.

Berlino è la città delle contraddizioni. Camminando fra Mitte e Kreuzberg, il vecchio quartiere operaio, saltano all’occhio alcune bronzee iscrizioni sui muri che ricordano la “Rivoluzione del marzo 1848”. La dicitura in bassorilievo continua sotto indicando un episodio di scontro in cui uno studente morì combattendo sulle barricate. Quell’anno anche la capitale prussiana, guidata da un élite militarista e reazionaria, era stata scossa da una guerra civile e la popolazione in armi aveva combattuto per ottenere riforme sociali barricandosi nel cuore della città.

Un episodio caratteristico è la presa dell’Arsenale di Berlino, già dalla facciata il palazzo barocco esprime tutto il militarismo della casata Hohenzollern. Terminato durante il regno di Federico Guglielmo, il “Re soldato”, l’edificio nacque come il più grande deposito di armi di tutta la Prussia, nel quale al pianterreno erano conservati i pezzi dell’artiglieria e nel piano superiore le armi e le attrezzature della fanteria. Il valore l’Arsenale era molto maggiore: consisteva infatti nel deposito dei trofei militari, i bottini di guerra sottratti agli eserciti sconfitti. Queste vittorie sono sancite dalle sculture di Schulter che adornano la facciata con elmi e armature intarsiati e tutti differenti, che rappresentano guerrieri nemici forti, ma sconfitti e da intendersi come trofei di guerra dell’esercito prussiano.

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La presa dell’Arsenale in un’immagine dell’epoca.

È proprio all’inizio del principesco viale Unter den Linden, fra le sale di questo maestoso palazzo barocco, che si svolse l’episodio in questione. La capitale della Prussia, fortezza industrializzata e militaresca, vide sfociare il malcontento sociale in una serie di rivolte, che il 14 giugno culminarono nell’assalto all’Arsenale. Nonostante alcune distensioni con la corona, le prime proteste del marzo 1848, in cui non erano mancati momenti di scontro, avevano creato una febbrile agitazione fra la popolazione, che si era radunata per protestare alla Porta di Brandeburgo, l’ingresso cittadino. Venne concesso ad una delegazione di recarsi al castello, ma le truppe a guardia dello Schloßbrücke  aprirono il fuoco, uccidendo due popolani. La reazione fu immediata: artigiani e operai occuparono la zona disarmando i militari e scontrandosi con le autorità. Dopo una prima fase, l’attenzione dei rivoltosi si focalizzò sull’Arsenale: non solo armeria, ma edificio simbolico del militarismo prussiano. L’assalto fu diretto da centinaia di persone, che con rudimentali arieti sfondano il portone di quel palazzo che oggi è il Museo di Storia tedesca. L’esigenza fu quella di armarsi per resistere alla violenza militare e dunque vennero presi non solo di numerosi pezzi d’artiglieria e fucili, utilizzati dai ribelli per armarsi e reclamare con forza i propri diritti, ma rubarono famosi trofei, simbolo delle passate vittorie della casata regnante. Tuttavia la scarsa organizzazione politica dei rivoltosi non permise di definire una chiara direzione del moto, che venne represso.

L’episodio rappresenta però un grande esempio di contrappasso storico: il luogo simbolo del militarismo prussiano che viene svaligiato dalla popolazione insorta fu una grossa beffa all’identitarismo militare cui sono sottratti importanti trofei, simbolo di vittorie e identità di potere.

Nel 1848 tutta l’Europa era scossa da un forte attivismo delle masse che anelavano diritti politici e riforme sociali: un parlamento, la libertà d’associazione e di stampa, una costituzione scritta. Sotto lo sventolare del tricolore tedesco, questi moti vedevano sorgere un’identità nuova, nazionale e popolare. Marx ed Engels li analizzavano, studiando le contraddizioni della società capitalista e pubblicando il celebre Manifesto.

Berlino, che aveva raggiunto i 400 mila abitanti, era già sotto la pesante cappa dell’industrializzazione, che ne aveva sventrato i centri e le abitudini sociali, riversando un’enorme massa di contadini nei nuovi quartieri-operai, in condizioni di vita precarie. Il malcontento si allargava alla piccola borghesia, anch’essa colpita da povertà e disoccupazione, che iniziò col proletariato una serie di moti di protesta che assunsero carattere insurrezionale.

A partire da febbraio, Parigi e Vienna avevano scacciato i rispettivi governanti esiliandoli in Inghilterra. A marzo la Milano delle Cinque Giornate cacciava il generale Radetzki. L’aria di rivolta era ovunque palpabile in Europa e Federico Guglielmo IV cercò di assecondare i desideri dei rivoltosi, anticipandone le richieste. Il re di Prussia desiderava portare a termine l’unificazione della nazione tedesca sotto la sua guida, strappandola all’Austria. Dopo le agitazioni avvenute il 13 marzo a Berlino, il re promise l’abolizione della censura e l’introduzione di una Costituzione.

Tuttavia il 18 marzo 1848 un’imponente manifestazione di dissenso popolare iniziò una protesta sotto il palazzo reale. Nonostante le parole del re, che prometteva riforme liberali, la folla continuò a protestare e alle truppe schierate, avvezze più alla repressione che alla comprensione, fu comandato di disperdere i manifestanti con violente cariche a cavallo. La notizia si sparse velocemente per tutta Berlino e furono create rudimentali barricate agli incroci cittadini per bloccare il passaggio delle guardie reali, che venivano disarmate e i loro depositi assaltati. Dalle barricate la popolazione cittadina rispose alle cariche e alle cannonate della milizia con lanci di pietre e colpi di pistola. All’alba le truppe regie si ritiravano, lasciando sul suolo 400 caduti civili. Complici della carneficina: il fratello del re e futuro kaiser Guglielmo I, poi soprannominato Principe delle Granate (Kartätschenprinz). Il 20 marzo la popolazione si radunava per celebrare la vittoria, ovunque danze, incontri politici e assemblee pubbliche.
Per prevenire ulteriori sanguinose rivolte Federico Guglielmo IV concesse, a partire da maggio, l’Assemblea Nazionale: una camera unica da 400 membri eletta a suffragio universale maschile. Tale organismo di governo risultò però inefficace, diviso fra le due anime della popolazione: radicale e moderata. Non potendo istituire un fronte popolare unico si fece il gioco del re, che poté conservare il potere.

Nonostante il fallimento della rivoluzione, il potere assoluto della monarchia prussiana tremò. Il popolo in armi si era infatti conquistato il proprio ruolo di attore sociale.
Queste targhe furono scritte nel 1998, 150 anni dopo i fatti, a perenne memoria della tortuosa strada verso la democrazia parlamentare, in cui le masse presero coscienza del proprio ruolo nella Storia, insegnando ai regnanti la forza dell’unità dei dominati.

Eugenio Salvatori 

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