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di Pancrazio Anfuso
Ci si stupisce, oggi, per lo scarso riguardo dimostrato da Bob Dylan per gli accademici di Svezia che gli hanno assegnato il premio Nobel per la letteratura “per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”.

In realtà Bob Dylan ha alle spalle una lunga storia di fughe dalla pressione dello star system e non è a 75 anni che cambierà modo di fare. Nemmeno se gli accademici che lo hanno insignito del prestigioso premio dovessero per questo considerarlo maleducato e arrogante. Bob Dylan, che viene paragonato a Gesù Cristo da più di mezzo secolo, ha subito ogni sorta di assalto da fans, giornali e avversari di ogni tipo che spesso ha scatenato contro di sé per le proprie reazioni spaventate e polemiche, che sono sembrate ai più vere e proprie provocazioni. Niente di nuovo, quindi.

Giusto cinquant’anni fa Dylan era appena sparito dalla circolazione per un grave incidente di moto, arrivato al culmine di una lunga fase di stress che l’artista gestiva a fatica, ricorrendo anche all’uso delle droghe.

“Nel pomeriggio di sabato 30 luglio (1966) le stazioni radio di musica pop di tutta l’America interruppero le trasmissioni per dare lettura di un bollettino: Bob Dylan il giorno prima era rimasto coinvolto in un incidente di moto ed era stato ricoverato in gravi condizioni all’ospedale.

Nei giorni seguenti furono rilasciati dei particolari sull’incidente, anche se vaghi: Bob era alla guida della sua Triumph 500 nei pressi di casa ed era seguito in macchina da Sarah (la moglie) o da un suo amico, a seconda delle versioni; Dylan stava dirigendosi verso una officina di riparazioni quando la ruota posteriore della moto si era bloccata all’improvviso facendolo slittare e cadere per terra

Era stato caricato in macchina e portato al Middletown Hospital; i medici gli avevano riscontrato una frattura al collo (cioè la frattura di diverse vertebre) una commozione cerebrale e contusioni varie al volto e al cuoio capelluto.

Ecco quindi che come tutti si aspettavano il Fato aveva colpito anche lui. Cominciarono a girare voci incontrollate: Dylan è morto; (…) Dylan è stato ricoverato in una clinica per intossicati; Dylan è stato ricoverato, completamente pazzo, in un ospedale psichiatrico; Dylan è uscito sfigurato dall’incidente e il suo pubblico non lo vedrà mai più”. (Bob Dylan, La biografia, Anthony Scaduto, Ed. Arcana)

Mentre l’America si interrogava sul suo destino, in assenza di notizie certe, l’artista rimaneva chiuso a curarsi nella grande casa di Woodstock, che di lì a poco diventerà la “Big Pink” consegnata alla storia da un disco-capolavoro della Band. Comunicava solo attraverso l’uso di un citofono, difeso a spada tratta dalla moglie, a cui aveva dedicato una lunghissima canzone inclusa nel suo disco uscito da un paio di mesi.

Il disco era Blonde on Blonde, un doppio LP considerato tra i massimi capolavori, oltre che di Dylan, dell’intera storia della musica rock. Un disco registrato a Nashville, che terminava la trilogia elettrica dell’artista e, pur venendo dopo il fortunatissimo Highway 61 Revisited, segnava un punto ancora più elevato nella carriera di Bob, che doveva subire un lungo stop dovuto all’incidente, per poi ripartire da posizioni profondamente cambiate.

La copertina di quel disco aveva due particolarità: l’immagine a colori sfocata di Bob, che il fotografo Jerry Schatzberg confessò trattarsi di un suo errore e non di una scelta voluta, e la foto all’interno dell’album che ritraeva una bellissima Claudia Cardinale, giovane diva del cinema italiano.

Schatzberg racconta che Dylan vide la foto nel suo studio, esposta insieme ad altri scatti legati al mondo del cinema che più tardi serviranno per allestire una mostra e per un libro. Bob chiese di mettere la foto in un collage all’interno della copertina del disco. La notai appena acquistai quel capolavoro, qualche lustro dopo, mentre mi affrettavo a tornare a casa per ascoltarlo tutto d’un fiato.
Una foto che faceva fantasticare. Indimenticabile.

Per quella foto la copertina del disco fu poi ristampata: gli agenti della Cardinale non gradirono che l’immagine fosse stata pubblicata senza autorizzazione e non desideravano fosse usata per promuovere un’opera altrui.

Il disco fu ristampato con un’altra copertina e le copie americane “sbagliate” divennero oggetto per collezionisti. Non so se, a oggi, il mio LP possa valere qualche soldo (immagino non un granché). Il sorriso strepitoso e lo sguardo ammaliante della Cardinale ammiccano da quella copertina e contribuiscono alla reputazione altissima dell’opera. Qualcuno dice che Dylan se ne fosse invaghito, ma non mi sembra il tipo.

Intervistata sul tema, l’attrice ha detto di aver appreso della cosa da una fan che le chiese un autografo porgendole il disco con quella foto, e si è detta lusingata dal fatto che un artista importante come Dylan avesse scelto una sua immagine per la copertina. Il fotografo Schatzberg confermò, a sua volta, che l’attrice non era al corrente della questione e che l’iniziativa di far togliere la foto dal disco fu del suo entourage.
Nel disco, oltre alla canzone dedicata alla moglie, Dylan aveva inserito una canzone dedicata a una terza donna, Edie Sedgwick, attrice e modella Warholiana con cui aveva avuto una relazione in passato. La canzone era Just like a woman, uno dei suoi pezzi più riusciti, rimasticati e copiati, tra le mille e mille cover che innumerevoli artisti hanno realizzato delle sue canzoni, chi come omaggio, chi per copiarne il contenuto, chi per regalarne interpretazioni rimaste nella storia, come Jimi Hendrix o i Byrds. D’altra parte Dylan aveva “creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”, come diligentemente motivano oggi gli sconsolati accademici di Svezia.

Hanno ragione: basta andare a leggere quello che scrive Bruce Springsteen nella sua autobiografia:

“Bob Dylan è il padre del mio Paese. Highway 61 Revisited e Bringing It All Back Home non erano semplicemente dei dischi fantastici, ma il primo ritratto fedele che io ricordi del luogo in cui vivevo. C’erano le luci e le ombre, e Dylan sapeva squarciare il velo delle illusioni e degli inganni smascherando l’ottusa e garbata routine quotidiana sotto la quale si nascondeva un mondo corrotto e in rovina”.

Speriamo che Bob un giorno di questi si ricordi di ringraziarli. In fondo, sono fan assai meno pericolosi di quelli che un tempo gli piombavano in giardino per chiedergli una profezia o un gesto miracoloso.

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2 commenti su “Quando Bob Dylan mise Claudia Cardinale su Blonde on Blonde (poi la tolse)

  1. era bravo ma era davvero bravo questo album e la conferma la cardinale manco sapeva del disco ma quando venne a sapere pensdo abbia gradito che qualcuno abbia la foto inun disco anche i culture club in un video misero in un fotomontaggio delle attrici ma ora se uno mettesse la bellucci nel disco di qualcuno no so del resto la cardinale gia era famosa come attrice oggi ancora fa poco nonostante la scomparsa del marito ciao

  2. Ho la copia di Blonde on Blonde con quell’autografo scritto con pennarello blu dalla Cardinale. La “fan” a cui si riferì l’attrice era una mia parente stretta a cui chiesi di farmi questo favore, in quanto ero al lavoro quando Claudia Cardinale venne nel mio paese. Confermo che lei non sapeva della pubblicazione della sua foto. Infatti quando le fu presentato il disco, restò sorpresa (piacevolmente sorpresa) 😉 complimenti per la ricostruzione e per l’articolo

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