CONDIVIDI

 
Bert Theis se n’è andato mercoledì notte. Era a casa sua, in Lussemburgo, con Mariette Schiltz, la compagna di sempre. Ci ha lasciato dopo una malattia lunga e faticosa che lui ha fronteggiato con determinazione e col sorriso.
Ho gli occhi di lacrime. Sapevamo tutti che malattia fosse quella che ce lo stava portando via. Ma questo non basta ad alleviare il dolore. È morto sereno, dice Mariette.
Mi trovo così seduto davanti al mio foglio bianco. Con la stilografica accanto. Penso che avrei voluto scrivergli una lettera, di quelle vere di carta ruvida con la mia grafia pessima e faticosa, di quelle d’amore che ho nel cuore. La Pelikan resterà al suo posto e il foglio deserto.
Ieri all’ombra di Isola Pepe Verde, nella mattinata afosa, eravamo solo io e Valentina. Non c’era nessun altro. Né un giardiniere né un passante, un bambino, una mamma, un viandante col cane. Silenzio irreale.
Camminando tra le piante, accanto ai tavoli, si percepiva un’assenza. Mentre vagavo, alla ricerca di un quid che ispirasse la mia mattinata, la giornata, l’esistenza, il futuro o boh, sono finito davanti alla foto di Isola art center, quella gigantesca che era esposta al Maxxi a Roma. Io in quell’immagine reggo la lettera A, l’ultima lettera di Isola. E mentre la tengo dritta e ferma, ricordo l’istante, mi sento un eroe che tiene in piedi la A di Anarchia. Bert, seduto in terra, sorride, mostra le dita a V come vittoria. Fu quello un momento di gioia.
Fermandomi in una sospensione di tempo tra il ricordo e il suono del mio passo, in quel momento ho pensato di scrivergli, dopo un po’ che non lo sentivo. Per capire come stava, con la delicatezza che avevamo nei nostri rapporti, per sapere quando tornava a Milano, per vederci…
Ero stato un’ora seduto a un tavolo di legno di Pepe Verde, avevo appena finito di scrivere a una mia amica. E per un qualcosa che poi oggi percepisco come anticipazione estetica, ho pensato di disegnare sulla lettera un filo sospeso, rosso, piante e un dettaglio del murale del giardino condiviso: quello dei papaveri rossi. I fiori dipinti da Bert su quel muro. Li ho scarabocchiati a matita e dopo a casa li ho colorati a cera. Ho pensato che erano i fiori di Bert e che a lui non piacevano tanto e invece a me sì. Ogni rapporto che si rispetti è fatto di idee diverse e di complicità solide.
La lettera ora è in viaggio. Il disegno racconta l’istante vissuto, quel quid di animale che agisce tra l’intuizione e la ragione. Che ti fa cogliere un dolore, un sogno, una percezione senza che sia possibile decifrarne i contorni.
Una sensazione di sensibilità accesa che ho tenuto dentro a lungo. Tornando a casa ho alzato gli occhi da Piazza Minniti agli abbaini dell’ultimo piano. L’edicola non c’è più. Scomparsa, con il suo dipinto sull’abbellimento strategico, con il suo inno di resistenza del quartiere. E adesso – penso – non c’è più neanche la figura bella e magra di quest’uomo elegante, col suo accento un po’ germanico, con i capelli bianchi al vento. Con le sue idee sull’utopia e sul volo, con il suo modo affabile di raccontare il prossimo progetto, la mostra da fare in qualche capitale del mondo, dove portare l’arte e la storia dell’Isola.
Hasta l’utopia, siempre. Così l’ha salutato un fratello come Nikola Uzunovski. Insieme su una macchina piccola piccola andammo a vedere il mare a picco su San Mauro Cilento. Eravamo io, lui, Bert e Pietro e la mattinata profumava di fiori di campo. Era il primo giorno di due settimane sull’utopia che, in quel momento non lo sapevamo, avrebbero cambiato le nostre vite. Dopo quel giorno abbiamo fatto volare nuvole, dipinto il cielo di fili rossi, passato notti insonni a discutere in piazza sull’arte e sul niente. Abbiamo portato l’utopia in macchina, l’abbiamo impacchettata e spedita lontano, l’abbiamo fatta a pezzi e ognuno ha saputo fare di questi pezzi un seme da far germogliare, l’abbiamo fatta sventolare con la bandiera azzurra di Angelo che a Bert piaceva troppo.
Ora siamo qui. Seduti, il mio foglio vuoto. I ricordi che affiorano necessari, le mille cose da rielaborare insieme ai compagni di queste avventure. Fili da riannodare e nodi da sciogliere. Sapendo che forti come siamo, con l’ardire di barbari che non conoscono confine, affrontiamo con le nostre dita ruvide la seta delicata dell’amicizia e dello stupore. Senza paura. L’utopia sarà concreta solo se diventeremo funamboli. La rivoluzione presuppone una certa imprudenza.

Caro Bert, vediamoci al Bar Volturno. Questo avrei voluto scrivere.
Antonio Cipriani.

 
Ps
Bert Theis, è nato nel 1952, in Lussemburgo. Artista, attivista e curatore. Co-fondatore di Isola art center e di Out (Office for urban trasformation). Sub-curatore di diversi progetti per Isola art center e curatore di “Territoria 4/ Il grande balzo”, per il centro d’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato nel 2009. I suoi lavori sono stati concepiti principalmente per gli spazi pubblici urbani, in città come Bruxelles, Milano, Strasburgo, Parigi, Chamarande, Lussemburgo, Volterra, Danzica ed altri luoghi. Ha partecipato a Muster Sculpture Project 1997, Manifesta 2 e numerose altre mostre internazionali, inclusa la Biennale di Venezia e le Biennali di Taipei, Tirana, Istanbul, Gwangju e Busan. La sua monografia Some works è stata pubblicata da Hatje Cantz nel 2003 e la sua seconda monografia Building Philosophy dal Domanine Departemental de Chamarande nel 2010.
(tratto dal libro Fight-Specific Isola)

Lascia un commento

La tua mail non verrà pubblicata, * campi obbligatori