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di Elena Vecchini

 

Il frigo era vuoto e a cena aspettavamo un paio di amici, quindi sono uscita per andare alla Coop, in quel supermercato che conosco a memoria, perché la disposizione dei prodotti sugli scaffali è sempre la stessa da almeno due anni; mi muovo sicura tra una corsia e l’altra, ma non afferro mai velocemente ciò che mi serve, seguo delle precise logiche che poi sono sempre le stesse, anche quelle.

Al reparto ortufrutta vagava un signore sulla settantina, con i capelli unti e giallicci e il ciuffo spiaccicato in fronte a mo’ di leccata di mucca, gli occhi spenti, velati da una cataratta che fa i capricci: in almeno un paio di occasioni ho avuto la netta sensazione che mi stesse seguendo, senza alcun dubbio mi ha squadrata dalla testa ai piedi, ne sono sicura perché l’ho beccato in flagrante mentre faceva finta di scegliere la mozzarella, mentre io leggevo la scadenza del seitan.

Quella presenza mi inquietava, ad ogni angolo che aggiravo eccolo lì, che mi stava alle calcagna, col suo andamento fiacco: magari è un disperato che non riesce a campare con la misera pensione che percepisce – Stato infame – e vedendo che non mi faccio problemi a riempire il carrello mi sta addosso aspettando il momento del pagamento alla cassa per sfilarmi i soldi dal portafoglio, oppure tenterà lo scambio di busta, e con fare innocente se ne uscirà fischiettando. Peggio ancora, potrebbe essere un maniaco sessuale, uno di quei porci che si recano nei luoghi pubblici solo per palpare qualche ragazza nel fiore dell’età, e ricordarsi così dei bei tempi andati.

Ho raggiunto le casse in uno stato di agitazione spiacevole, dopo aver tentato a più riprese di depistare il maniaco/disperato; la cassiera, flemmatica, ha permesso al vecchio di guadagnarsi il posto dietro di me, gettando al vento i miei sforzi per seminarlo. E’ stato allora che ho sentito un odore pungente, acre, come di ammoniaca andata a male, se è mai possibile che un prodotto chimico ammuffisca; oltre che deviato l’anziano era pure poco avvezzo all’igiene personale, ma guarda un po’ se devo anche patire la puzza di piscio quando vado a fare la spesa!

Nauseata, disgustata da tanta lascivia, pensavo a com’è bella la giovinezza, e a quant’è detestabile la vecchiaia, specialmente quella della generazione dei nostri nonni, che non hanno avuto un’educazione adeguata alla bellezza e all’apparente compostezza della postmodernità; alcuni tentano di adattarsi, ma la maggior parte di essi rimane isolata, uno scarto della società come tutti i poveri, i malati, gli ignoranti, i pazzi e gli incompresi.

Non volevo guardarlo in faccia, il vecchio, mi faceva troppo schifo e la puzza era così penetrante che avrei potuto vomitare sul nastro trasportatore, mancavano solo i biscotti e la marmellata e poi quell’incubo sarebbe finito, sarei potuta uscire fuori e respirare aria fresca, vedere i miei amici che sono tutti così belli, intelligenti e puliti, e di questa storia non ne avrei fatto parola con nessuno.

Appena un istante prima di pagare, ho posato lo sguardo sulla spesa del vecchio; una mozzarella, pane, vino da tavola bianco in tetrapak e una confezione da ottanta pannolini per incontinenti.

«Signorina, signorina! Il pin della carta, prego» «si certo, ecco qua.» ; «Li fa’ i bollini?» «sisi»; «Con questa spesa ha diritto a tre bollini allora» «grazie, buonasera, mi scusi per prima, arrivederci».

«Aspetti, a me non me servono i bollini, li prenda lei, ecco, so’ tutti quelli che c’ho, tanto sennò li perdo». «Grazie, grazie. Mi scusi, arrivederci».

 

Mi scusi, mi scusi, mi scusi, mi scusi, sono giovane, postmoderna e stronza.

E mi viene da piangere.

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