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di Barbara Monaco

Quando si dice che sarebbe meglio tacere per evitare di cadere nel ridicolo non si può che pensare all’accordo Italia-Libia appena siglato. Arrivo a dire che, se fossi al Governo, mi auto-censurerei anziché dover ammettere di aver riproposto un accordo che, al tempo di Silvio Berlusconi premier venne ferocemente criticato: l’Italia non solo scendeva a patti con quello che veniva considerato un dittatore ma, tanto per cambiare, come evidenziava Amnesty International, violava la Convenzione europea sui diritti umani.
Testimonianze dei sopravvissuti alle carceri libiche si moltiplicarono, il documentario di Andrea Segre “Come un uomo sulla terra”, mostrò l’orrore delle morti nel deserto e delle violenze gratuite da parte della polizia libica, il bellissimo libro-inchiesta di Fabrizio Gatti “Bilal. Viaggiare, lavorare, morire da clandestini” aiutò tanti a riflettere sulle responsabilità di un Paese che, pur volendosi riconoscere nei principi fondanti dell’Unione Europea (sul fatto che questi siano realmente diritti universalmente e non arbitrariamente riconoscibili aprirebbe un altro capitolo che non è possibile trattare in questa occasione) li infrangeva regolarmente e a sua discrezione effettuando respingimenti irregolari in un paese nordafricano che mai si era sognato neppure di prendere in considerazione l’esistenza di un diritto internazionale “occidentale”. “Mai più”, si disse, mai più il nostro Paese dovrà ridursi a vergognarsi tanto per scelte scellerate.
Gennaio 2016: al Governo non c’è più Silvio Berlusconi, ma c’è quella “sinistra” che tanto si indignò per gli accordi fatti con Muammar Gheddafi. Il nuovo ambasciatore dell’Italia a Tripoli, Giuseppe Perrone, il 10 gennaio ha presentato le credenziali per riaprire l’ambasciata, la prima sede diplomatica di un paese occidentale a riaprire i battenti in Libia dopo la guerra civile cominciata nel 2011. Sì, perché il ministro dell’Interno italiano, Marco Minniti, il giorno precedente si è recato a Tripoli per gettare le basi di un’intesa con il governo di unità nazionale libico di Fayez al Serraj sulla gestione dell’immigrazione, il controllo delle frontiere e il contrasto al traffico di esseri umani: “Tenendo conto degli accordi già fatti tra Italia e Libia, uno nel 2008”, ha affermato in conferenza stampa, “l’altro più recente nel 2012, abbiamo comunemente deciso di raggiungere un accordo nei tempi più brevi possibili, che consenta a Italia e Libia di combattere insieme gli scafisti”.
Non credo servano altre parole per spiegare ciò che si è deciso di riciclare, salvo aggiungere che, forse, ad oggi, le condizioni in Libia sono cambiate. In peggio. Non c’è più Gheddafi, certo, ma il cosiddetto governo di unità nazionale non è che un fantoccio, riconosciuto dall’Occidente ma avversato in patria da almeno altre tre entità politiche e/o religiose che non riconoscono quell’ Al-Serraj cui l’Italia ha promesso il sostegno per pattugliare e chiudere il confine meridionale del paese, quello che lo separa dal Niger, principale punto di accesso in Libia per i migranti provenienti dall’Africa subsahariana.
Per sostenere questo progetto l’Italia potrebbe fornire a Tripoli un sistema di radar, già previsto nell’accordo del 2012. Tuttavia l’attuazione del piano presenta diverse difficoltà, perché il governo di Al Serraj non è in grado di garantire un controllo del territorio così esteso e capillare al di fuori della capitale. Intanto si è conclusa la prima fase dell’Operazione Sophia, la missione di EunavforMed contro il traffico di esseri umani che prevedeva l’addestramento di 78 ufficiali e sottufficiali della guardia costiera libica a bordo della nave della marina militare italiana Garibaldi. Gli obiettivi principali del governo italiano sembrano essere due: un impegno militare da parte delle forze armate europee nelle acque internazionali davanti alla Libia e un loro futuro sconfinamento nelle acque libiche e il coinvolgimento delle forze di polizia libiche nel pattugliamento della costa. In cambio, Roma garantirebbe investimenti e aiuti anche attraverso la donazione di mezzi come i pattugliatori, che dovrebbero essere consegnati già nelle prossime settimane. Proprio mentre scrivo arriva la notizia: “Libia. Dopo la riapertura dell’ambasciata italiana milizie ribelli attaccano i principali ministeri”. Mi fermo. Meglio pensarci su e riparlarne con più lucidità….

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