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Sentire un botto, svegliarsi di colpo e trovare un camion con rimorchio caduto dal cielo nel tuo giardino di casa, è un fatto che può capitare in due situazioni. La prima è un film di fantascienza, la seconda è quella in cui la tua casa si trova esattamente sotto i piloni della superstrada a quattro corsie che conduce dentro e fuori da Perugia. Ed è proprio questo il caso di Mario, l’eroico protagonista della storia che segue.

All’anagrafe si chiama Proto, perché il padre –sardo– era molto preciso, il primo figlio si chiama con il nome del nonno, tanto più se questo coincide con l’aggettivo latino che indica che è “il primo”. Una trovata che non è piaciuta a nessuno, meno che mai al diretto interessato che – ironia della sorte – ha adottato come proprio il secondo nome Mario, con cui tuttora viene chiamato da chiunque lo conosca.

La sua storia s’intreccia direttamente con la parabola dell’editoria italiana, dall’entusiasmo con cui questa si è organizzata nel secondo dopoguerra, il grande boom che ha moltiplicato le edicole, le pubblicazioni, le agenzie di distribuzione e infine la lotta senza quartiere per la conquista del mercato che ha portato i piccoli a soccombere a vantaggio dei più grandi, o semplicemente i più leali a danno dei più furbi.

Oggi l’editoria è un mondo in crisi, che ogni anno celebra il funerale di centinaia di edicole, di decine di testate e piccole agenzie di distribuzione, ma c’è stato un tempo in cui a guadagnarci erano in molti e tutte le fasi che portavano un giornale dalla rotativa alle mani del lettore si susseguivano con passione, umanità e profitto: tre parole che potevano ancora convivere senza difficoltà.

Fino agli anni Quaranta i quotidiani arrivavano direttamente dalle redazioni alle edicole, attraverso corrieri, trasportatori più o meno improvvisati e dinamiche difficili da gestire. C’erano degli ispettori tramite cui gli editori cercavano di assicurarsi la regolarità dei pagamenti ma queste modalità, forse ancora buone in un periodo in cui a Perugia si contavano una decina di edicolanti, non rispondevano più alle esigenze di un mercato in forte crescita.

Nasce così nel 1950, ad opera di Giovannino Sanna e della moglie Giannina (genitori di Mario), l’Agenzia Giornalistica Umbra, un’azienda che vive il meglio e il peggio dell’editoria, gli uragani e gli splendori, ma che sopravvive tutt’oggi, in questa casa-bottega pittoresca sotto i piloni della superstrada, in cui le galline scorrazzano allegramente in mezzo alle migliori riviste del mondo. “Galline che muoiono di vecchiaia”, tiene a specificare il grande Mario, che le accudisce un po’ per la compagnia, un po’ per le uova, di certo non per ucciderle.

Giovannino e Giannina Sanna in un articolo degli anni Novanta che racconta i quarant’anni di attività dell’agenzia.

L’Agenzia Giornalistica Umbra nasce con due finalità: la prima era quella di essere anello di congiunzione fra il produttore e il consumatore, incaricandosi della raccolta di quotidiani (di riviste si comincia a parlare più avanti) e del loro trasporto agli edicolanti, per poi portare nuovamente le rese agli editori, guadagnando con questo giro il 5% su tutto il venduto.

La seconda finalità ci rimanda alla mente un mondo che non esiste più e merita due parole. L’agenzia aveva sede in via Boncambi, pittoresco vicolo nel cuore del centro storico dove al tempo tutto girava intorno a una sala biliardo e a un barbiere ad uso esclusivo dei vigili urbani. In questa location d’eccezione s’incastravano le due stanze dell’agenzia, col soffitto così basso che si poteva toccare con un dito. Fuori dalle stanze c’erano le cosiddette “buche”, tante quanti erano i giornali distribuiti a Perugia (“La Nazione”, “L’unità”, “L’Avanti”, “Il Messaggero”, “Il Tempo” e poi quelli che uscivano alla sera come “Momento sera” e “Paese Sera”). In queste buche, collaboratori occasionali e persone qualunque lasciavano articoli e materiali che poi finivano, ove ritenuto opportuno dalla redazione che puntualmente passava a ritirarli, sulle pagine del quotidiano del giorno dopo.

Abituati oggi alla logica della redazione chiusa, autoreferenziale, distante dal cittadino e vicina solo ai giochi di palazzo, questo filo diretto può dare tante ispirazioni per il futuro: un futuro in cui i giornali, se vorranno sopravvivere, dovranno aprire le loro redazioni e tornare a usare le caselle postali, seppur elettroniche, come punto di raccolta di materiali.

Il mercato perugino era suddiviso fra due agenzie: la AGI di Sanna e quella del collega e amico Amodeo. La situazione era florida, le edicole andavano moltiplicandosi e l’umanità dei rapporti era più congeniale della concorrenza spietata. I due infatti si spartivano equamente i titoli e condividevano lo stesso trasportatore, in modo da ammortizzare le spese e ottimizzare il lavoro. Le agenzie crescevano, arrivavano bancali di quotidiani ogni giorno e ci si poteva permettere di retribuire diverse persone: l’Agi aveva otto dipendenti, ancora di più Amodeo, che aveva il capannone a Madonna Alta e fatturava centinaia di milioni l’anno.

Era un mondo in cui ce n’era per tutti, le edicole erano piccole miniere d’oro, soprattutto quelle del centro. Se allora qualcuno avesse provato a immaginare via Mazzini con due edicole chiuse e una aperta col cartello “vendesi”, piazza Grimana con l’edicola chiusa proprio di fronte all’Università per Stranieri, che era allora il vero polo della vita cittadina, sarebbe stato liquidato con un sorriso di sberleffo. E che dire dell’edicola di Sant’Ercolano, attuale Edicola 518? Era gestita da un signore cieco che si chiamava Serafini, come verificabile dall’elenco degli edicolanti del tempo che Mario ancora conserva. I soldi li riconosceva al tatto, i quotidiani in base a come li disponeva; non era difficile d’altra parte, ancora le riviste non c’erano e la pagnotta si portava a casa con una decina di titoli. E poi c’era quel rispetto che faceva sì che nessuno si sarebbe mai azzardato ad approfittarsi di un uomo senza vista. Rispetto che oggi è difficile immaginare, in un contesto in cui noi, che vediamo bene e spesso oltre, non di rado ci troviamo a sventare scippi e allontanare molestatori.

Una vecchia lista degli edicolanti di Perugia, quando la distribuzione non era computerizzata.

Le studentesse straniere erano perle esotiche che allietavano la vita e la riempivano di sogni. Nessuno sapeva dov’era la Finlandia, ma quasi tutti sapevano dove trovare le finlandesi, le svedesi, le tedesche, le americane e le francesi. Con una di queste Mario ha preso la via di Parigi, dove è vissuto per due anni… Fotografo per lavoro e passione, ha girato mezza Francia prima di tornare alla base. D’altronde i sogni finiscono come gli amori. E poi c’era un’agenzia da portare avanti.

Negli anni Settanta e Ottanta si lavorava alla grande, poi nei Novanta qualcosa ha cominciato a guastarsi. Il problema era la divisione del territorio. Se prima Perugia aveva i suoi distributori, Spoleto i suoi, Terni i suoi e ogni centro viveva grazie al servizio di piccole aziende, a partire dagli anni Novanta la situazione è andata mutando. I numeri dell’editoria sono andati a decrescere e gli editori stessi si sono dimostrati sempre più sensibili a sconti, benefici, accordi leali e mazzette sottobanco. Mi racconta che a Roma la situazione era completamente ingestibile, si era innescata una lotta fratricida nella quale la propria sopravvivenza doveva necessariamente corrispondere alla morte del collega.

Lo sconto tradizionalmente riservato ai distributori era il 5% sulla merce venduta, con le spese di trasporto a carico dell’editore  e per far saltare il banco c’erano quindi due mosse: accettare una percentuale di sconto più bassa e/o togliere all’editore l’incombenza delle spese di trasporto. Così in una battaglia non priva di colpi bassi il pesce grosso ha mangiato i pesci più piccoli e oggi le regioni italiane – compresa l’Umbria – sono governate dal dominio editoriale di un unico distributore.

Amodeo ha ceduto tutto ed è divenuto dipendente del distributore leader. Mario, estraneo alle logiche torbide dell’editoria contemporanea, ha rifiutato accordi a ribasso e nel 2002 ha perso la distribuzione degli ultimi quotidiani, rinunciando alla competitività sul mercato ma non alla passione con cui tutt’oggi esercita la sua professione, distribuendo unicamente quotidiani e riviste straniere e mantenendo in piedi l’Agenzia Giornalistica Umbra fondata dal padre.

L’azienda con otto dipendenti è diventata una gestione familiare, il capannone di via Romana (ultima sede dell’agenzia) è diventato il piano terra della sua abitazione, ma non si è persa l’umanità con cui Mario continua a tenere in vita con pochi clienti il volto sano dell’editoria: la scelta dei titoli, lo scambio di opinioni, il dialogo e il racconto.

D’altra parte parliamo di una persona con un’idea politica molto semplice: “Io ho sempre votato il partito all’opposizione, perché se c’è qualcuno che comanda, noi bisogna essere quelli che gli rompono i coglioni”.

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