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di Antonio Brizioli

 

Perché vuoi farlo sempre nella zona industriale, proprio tu che hai cinque case?

È proprio vero ciò che si dice in giro, che uno vuole sempre ciò che non ha… E tu hai la domestica, il giardiniere, il padre importante, la madre importante, la raccomandazione per passare l’esame, la pelliccia… Quando andate a messa vi sorridono tutti, ma non vi vuole bene nessuno. Sarà per questo che nascondi uno strano giocattolino sotto i peluche che ti tenevano compagnia da bambina? Ha una forma anatomica e se pigi un tasto vibra, vibra finché le pile non finiscono e nell’ultimo mese le hai già cambiate tre volte.

I vetri sono tutti appannati. Siamo in trappola in mezzo ai camion parcheggiati: fuori è freddo, freddo davvero, chissà quante volte te l’avrà detto, tua madre, che è pericoloso venire in questi posti. A volte si raggiungono le somme colline per godere dei panorami offerti dalla nostra regione e amarsi: con le luci in basso, le stelle in alto. Ma tu vuoi l’asfalto, i fossati umidi, i camionisti che riposano, le fabbriche spente che si preparano a ripartire coi primi accenni d’alba. La luce fredda di qualche lampione altissimo che vuoi lasciarti lontano per raggiungere l’ombra, quella più squallida degli insetti e parcheggiarti, quando hai la fortuna di trovarla, accanto alla vecchia Fiat in cui qualche disperato sta facendo sesso a pagamento. Quello che si paga con pochi spicci.

E mi chiedi addirittura di insultarti, di prenderti a schiaffi, tu che sei cresciuta servita e riverita, non so proprio se assecondarti… Un giorno ti ho offerto un letto, mi hai guardato sorpresa e dopo una pausa scenografica hai detto:

“Dovresti saperlo, che io sul letto sto scomoda.”

Già, sul letto stai scomoda perché non c’è quel freno a mano che rigido si pianta in mezzo alle cosce. E non devi incastrarti. E magari non puoi urlare le cose che mi dici qui, che al piano di sotto il custode potrebbe sentirti. E poi che gusto c’è ad andare in albergo, quando ne possiedi uno… Tu vuoi ciò che non possiedi: le strade, i nascondigli, gli insulti, i rischi e le periferie. E quella mania di leccarti le dita dopo averle messe in mezzo alle gambe, te l’hanno insegnata a catechismo o l’hai intuita correndo fra le margherite col tuo vestitino rosso?

Il sesso è rimasto una delle poche circostanze in cui l’uomo è costretto a rivelare la sua vera natura. E se un finto sbruffone può diventare un vero timido, certamente una dama compita può diventare l’instancabile animatrice di un postribolo vicino al porto. E in questo porto, io, marinaio per qualche notte, non faccio promesse ma ricevo ordini. Come quando mi hai detto, accendi la macchina e parti. Ed io pensavo, che bello finalmente fuggire insieme…

E lo volevi in effetti, ma solo per il gusto di abbassare la testa sulle mie gambe mentre sfrecciavo in superstrada per poi tornare indietro come se nulla fosse… Ce ne fossero di più come te. Vuoi farlo di continuo e fra una volta e l’altra ti tocchi… Poi torni a casa e metti le mani in mezzo ai peluche. Poi scendi a pranzo e stai ben attenta a come mastichi, a come tieni le posate e a raccontare prodiga di dettagli il film visto al cinema la sera prima. Non dirglielo a tua madre che non guardavi lo schermo, mi raccomando…

Ma chiedile se hai il coraggio di comprarti un parcheggio, un parcheggio isolato in mezzo alle fabbriche. Il più buio, il più sporco… “Mamma, voglio proprio quello. E dì al giardiniere di non togliere le erbacce per favore”. Già, se avessi solo parcheggi desolati forse torneresti ad amare i letti, i vestitini, le aragoste e il tè delle cinque. Per ora queste cose ti fanno male allo stomaco e scappi in bagno tu – regina dolce della zona industriale. Pietra preziosa nel parcheggio squallido.

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