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di Gabriele Principato

Perugia – È stato trovato riverso nel suo sangue, con la gola tagliata da parte a parte, l’avvocato Alessandro Bianchi. Lo squarcio enorme, la testa rimasta attaccata al busto per pochi lembi di carne. Il cadavere, scoperto nel pomeriggio di mercoledì 30 agosto 1905, era all’interno del suo studio, a pochi passi dal Teatro Morlacchi.

L’omicidio del legale di 75 anni ha risvegliato bruscamente i perugini dalla curiosità per l’eclissi totale di sole in cui erano assorti. Mentre alle ore 13 quasi tutti erano scesi nelle piazze e nei giardini per assistere al fenomeno celeste, Bianchi – stando alle ricostruzioni degli inquirenti – era rimasto a lavorare nel suo studio. Nel palazzo, costruito in cotto e mattoni, dove era anche la sua abitazione e che in città si mormorava fosse stato finanziato con l’oro datogli qualche anno prima da un suo cliente, il brigante Nazareno Guglielmi, detto “Cinicchia”, per averlo aiutato a fuggire in Sud America.

Mercoledì in tarda mattinata l’avvocato ha ordinato di non disturbarlo”, ha raccontato ai carabinieri Egisto Angeli, cocchiere di Bianchi. Ragione di tanta riservatezza era un incontro con l’italo-argentino Guido Casale, a lui caro quasi come un figlio. Goffredo Simoncini, sostituto nello studio legale, presente al momento della telefonata con cui i due avevano concordato l’appuntamento, ha ricordato di aver sentito Bianchi esclamare: “Quel falsario di Casale vuole vedermi”. Di recente infatti l’avvocato aveva scoperto che l’argentino emetteva cambiali falsificando la sua firma.

Casale, nato in America del Sud da genitori piemontesi 26 anni prima, per un po’ di tempo aveva vissuto a Palazzo Bianchi, conquistando la simpatia dell’anziano avvocato. Al legale l’uomo era arrivato con la raccomandazione di un prete, don Vittone, a cui a sua volta era stato affidato da alcuni parenti italiani. In breve era diventato il compagno delle sue passeggiate mattutine a cavallo per le vie del centro.

Nella casa dell’avvocato Casale aveva conosciuto Guglielmina Ranaldi, originaria di Casacastalda, istitutrice della nipote di Bianchi, e forse anche amante dell’avvocato. O come sostenevano alcuni sua figlia naturale. Di sicuro beneficiaria di un ampio lascito nel suo testamento, che le avrebbe consentito una vita tranquilla e benestante.

Tra Guido e Guglielmina era iniziata una relazione, anche se l’uomo continuava a frequentare altre donne, fra cui una ballerina della compagnia allora presente al Teatro Turreno. In passato Casale era stato anche sposato a una ragazza di Asti, con la quale si era trasferito a Perugia per prendere il diploma da farmacista. Poi però lei era morta di parto insieme al figlio e lui era rimasto vedovo.

Quando Bianchi, oltre alla questione di alcune cambiali, aveva scoperto la relazione fra Casale e la Ranaldi aveva deciso di allontanare l’argentino da casa sua. Spinto dalla gelosia dell’amante forse, oppure da quella di padre. Il 27 agosto aveva fatto lo stesso con la giovane, rimandandola a Casacastalda. Nel frattempo però, per smorzare le voci che stavano girando in città, aveva manifestato il suo assenso a un loro matrimonio.

L’incontro tra Casale e Bianchi è avvenuto a tre giorni da questi fatti, intorno alle 13:40, mentre i perugini, con gli occhi coperti da vetri bruniti dal nerofumo, osservavano l’eclissi. Come hanno accertato in seguito gli inquirenti l’argentino aveva emesso oltre 25mila Lire di cambiali con la firma artefatta dell’anziano legale e voleva impedire che ne venisse denunciata la falsità.

A trovare il cadavere è intorno alle ore 15 Francesco Torelli, l’ottantunenne scrivano dello studio Bianchi. “Quando sono arrivato il povero avvocato era con la testa a ridosso della porta, steso supino, in mezzo ad una pozza di sangue, con la trachea e le carotidi completamente recise e aveva due giornali sul petto. C’erano un rasoio in terra e due seggiole rovesciate”, ha dichiarato l’uomo. L’omicidio è stato compiuto con estrema violenza, ha confermato la perizia del medico legale, appurando che “persino le vertebre della spina dorsale sono rimaste intaccate”.

Quando la notizia si è diffusa in città Casale si trovava al Caffè Vannucci. Alcuni testimoni lo hanno visto reagire con perplessità e affermare “Deve essersi suicidato!” L’assassino infatti aveva tentato di costruire sulla scena del crimine il teatro di un suicidio. I giornali e il rasoio da barba, collocati vicino al cadavere, dovevano condurre su questa pista. A spingere l’avvocato al gesto sarebbero stati alcuni articoli offensivi per un processo che stava seguendo. Ma la cosa non era credibile per gli inquirenti.

Venuti a conoscenza dell’incontro e della vicenda della cambiali, i carabinieri il giorno stesso fermavano Casale e Guglielmina. Quest’ultima sospettata di avere materialmente falsificato le firme. La donna è stata poi rilasciata, perché non sono stati trovati elementi a suo carico.

Casale era ancora sporco di sangue e aveva segni di graffi e morsi al braccio destro. Addosso gli fu trovato anche un fazzoletto strappato con i denti, usato probabilmente per chiudere la bocca dell’avvocato. A confermare ulteriormente la colpevolezza dell’argentino è stato poi il ritrovamento di alcuni vestiti macchiati di sangue nella sua stanza, insieme a decine di cambiali e infine dell’arma del delitto. Un coltello svedese con lama retrattile di 30 centimetri, che un negoziante, il signor Maioni, ricordava di avergli venduto pochi giorni prima. A rinvenire l’arma è stato un muratore, era nascosta in un gabinetto di palazzo Bianchi, avvolta in un gilet insanguinato.

In un primo momento Casale ha tentato di negare ogni cosa. Poi ha confessato cambiando più volte versione, per trovare una giustificazione al suo gesto. Ha addotto collera e sconcerto per aver scoperto che Guglielmina era sia figlia che amante dell’avvocato. “Se te la sei goduta tu, me la sono goduta anch’io”, avrebbe detto Bianchi a Casale, scatenando la sua ira, in una delle tante versioni. Successivamente ha raccontato di avance omosessuali che il Bianchi gli avrebbe fatto. Ma l’unico movente certo sono le decine di cambiali false che stavano per andare in pagamento e il miraggio della somma di denaro che alla morte dell’anziano legale sarebbe finita nelle tasche della sua futura sposa. Una speranza vana in realtà, perché in un testamento redatto il 7 agosto, l’avvocato aveva cancellato ogni donazione a favore della Ranaldi.

La Corte d’Assise de L’Aquila riconobbe la premeditazione e il 27 agosto 1908 condannò Guido Casale, reo confesso dell’omicidio dell’avvocato Alessandro Bianchi, a 30 anni di carcere. Si salvò dall’ergastolo, perché gli vennero riconosciute le attenuanti generiche.

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