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I
Non divido il mondo sulla base generazionale o su forme simboliche del potere. Non m’importa se una mente brillante ha venti anni o ne ha novanta, se veste Prada o se indossa abiti comodi, secondo necessità. Non sono interessato allo status dell’amicizia o al vantaggio che potrei trarne nei cosiddetti salotti giusti. Né penso di poter insegnare qualcosa della mia esperienza agli altri, dall’alto di un pulpito, senza pensare che si possa imparare da chiunque s’incontra sulla via, dedicando all’attenzione per gli altri un valore alto e non formale (“L’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità” cit. Simone Weil).
II
Però divido il mondo non solo tra oppressi e oppressori, ma anche, nel campo sempre più ampio degli oppressi di ogni categoria, tra chi fa dell’obbedienza la regola muta, ottusa e modaiola e chi ha in sé il coraggio della sovversione, del produrre pensiero e azione fuori dai luoghi comuni.
III
Non traggano in inganno le parole obbedienza e sovversione. Da sole possono esprimere tante più cose: obbedienza come rigore nel coraggio e nella pratica di azioni che implicano forza d’animo e rispetto, per se stessi e per gli altri, è diversa da obbedienza citrulla e conformista. Così come un’idea di sovversione apparente, di trasgressione televisiva o scopiazzando Vip, sui binari del format già scritto, non ha niente a che vedere con la rivoluzione delle coscienze e delle menti che sottrae al giogo dell’epoca.
(SEGUE)

Primi appunti sintetici vergati da Antonio Cipriani per avviare una riflessione collettiva sul coltivare cultura: abbozzo di una teoria anarchica sulla conoscenza, sui passi filosofici di Feyerabend. Chi volesse intervenire e aggiungere concetti, prendere spunto e partecipare alla scrittura corale, potrà farlo scrivendoci.

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