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Le parole degli anziani hanno sempre un alone di eccessiva semplicità. Riducono tutto a concetti semplici, basilari, spesso troppo semplici e basilari per i giovani, strenui cacciatori di vertigini poetiche. Da anziani è più facile dire amore, è più facile dire amicizia anche per chi ha tenuto certe parole strette fra i denti una vita intera.

Il Rifiuto di Obbedire, uscita freschissima di Elèuthera, è una raccolta di scritti risalenti in buona parte all’ultimo decennio di vita del grande Lev Tolstoj, arcinoto per le sue immense opere narrative e molto meno per i saggi.

Che Tolstoj fosse un anarchico è, in un certo senso, ben noto. Non un anarchico secondo i crismi classici, piuttosto un detrattore di ogni forma di governo e patriottismo, un educatore strenuamente libertario, ma anche un assoluto oppositore di ogni utilizzo della violenza e un pensatore di radicale fede cristiana. Una figura trasversale, insomma, che ha spinto i teorici dell’anarchismo a dover coniare espressioni come anarco-cristianesimo per inquadrare un pensiero capace di unire istanze apparentemente molto lontane.

Cristo è in effetti il baricentro di tutte le dissertazioni di Tolstoj, come modello da seguire nel perseguimento della nonviolenza e della solidarietà nonché come guida nel rifiuto, ad esempio, del concetto di patria e di stato.

Se la semplicità dei ragionamenti dell’autore sia lo scioglimento di una serie di nodi complessi oppure una reale assenza di complessità, non è sempre facile da comprendere. Certo è che alcuni passaggi si rivelano modernissimi pur avendo più di cent’anni; penso alle considerazioni sul vegetarianesimo e alla già citata critica al patriottismo (mai come oggi attuale e necessaria).

Facendo equilibrismi sul filo che divide l’elementare dall’essenziale, questa raccolta di articoli colpisce spesso al cuore della contemporaneità, ponendoci di fronte a questioni tanto scontate quanto pervertite dal secolo che abbiamo alle spalle.

La massima raffinatezza teorica si raggiunge nella parte relativa all’educazione, della cui veste libertaria Tolstoj fu tra i primi promotori con la fondazione della scuola di Jàsnaja Poljàna.
Qui il pensiero perde di rarefazione aggrappandosi alle salde redini dell’esperienza pratica, e il modello proposto non suona affatto naif.  Gli spunti sono svariati, il tono non così disilluso considerata l’età e la lontananza di certe prospettive dalla conquiste di allora (e di oggi).

Leggere questo libro significa soprattutto poter constatare, con assoluta schiettezza, che i grandi temi di un secolo fa coincidono in buona parte con quelli dell’oggi.
Se questo è vero, ahimè, conosciamo davvero poco la storia o, nel migliore dei casi, siamo tutti estremamente distratti.

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