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di Paolo Finzi
Tratto da A/Rivista Anarchica

Mi vengono in mente tre persone, così, d’acchitto, se metto accanto queste due parole: anarchia e amore.
La prima è, scontata per chi mi conosca, Errico Malatesta. Per una precisa ragione, che ho colto appieno solo recentemente, dopo qualche decennio di frequentazione con la lettura dei suoi scritti. E cioè che nessuna/o, tra le madri e i padri dell’anarchismo (almeno quello di lingua italiana), ha più di lui utilizzato le due parole, accostandole. Credo si possa dire che per Malatesta (e non solo per lui) l’anarchia non sia che la realizzazione progressiva di un ordine sociale basato sull’amore. Persona pudica della propria vita privata, com’era in parte nella sensibilità dell’epoca, Malatesta resta sempre sulle generali, non fa riferimenti personali. Ma utilizza il termine “amore” nella sua piena accezione, si comprende che lo fa volentieri, affidando alle ragioni del cuore, del sentimento, della sensibilità una fondatezza e un’importanza che non stanno mai al di sotto della sua concezione logica e vorrei dire “scientifica”, o per lo meno rigorosamente laica, della vita associata e quindi dell’anarchia che ne è, a suo avviso, la migliore forma realizzabile.
La seconda persona è Emma Goldman, la militante anarchica lituana, vissuta a cavallo degli scorsi due secoli, eccezionale figura di donna, con una concezione dell’anarchia abbastanza simile – nei suoi valori etici di fondo – a quella malatestiana. Ma, come già si evince dalla lettura dei suoi scritti e in particolare della sua densa autobiografia, con una estensione stravolgente dell’amore da mero sentimento “generale” a concreta, quotidiana, anche squassante modalità di relazione, compresa la “parte” (se così si può connotarla) specificamente relazionale e sessuale, “Non è proprio necessario che le donne tengano sempre la bocca chiusa e la vagina aperta”. Difficile pensare queste parole nei pur validi scritti del rivoluzionario campano.
Così come è impossibile pensare a Goldman con in bocca le parole di un altro cultore dell’amore come ambiente naturale dell’anarchia, quel Pietro Gori – la terza persona che mi viene in mente – che, tra le sue poesie/canzoni, scrisse versi come questo “Al tuo amor fanciulla mia, ben altro amor io preferia, è un’idea l’amante mia, a cui detti braccia e cor”. Malatesta non scrisse mai cose simili, Goldman scrisse l’opposto.

Piacere, danzare, sensualità, sessualità
Nella sua rivendicazione pubblica del piacere, del danzare, della sensualità e della sessualità come patrimonio e finalità come individuo prima ancora che come anarchica, Goldman per decenni fu vista con circospezione e anche con profondo dissenso da quegli anarchici che ritenevano che fosse a dir poco sconveniente teorizzare ma soprattutto raccontare con chi era andata a letto, magari mentre il suo compagno “ufficiale” era in galera. E non pochi negli ambienti libertari la consideravano una puttana.
Anarchia e amore. Se non si prestasse a stupide malevole criminalizzazioni, direi che ci troviamo davanti e dentro a due parole esplosive. Io credo che possa benissimo esistere l’amore, e sia sempre esistito, anche senza anarchia. Ci mancherebbe.
Ma l’anarchia senza l’amore, no. Anche ci fosse, non può essere l’anarchia “nostra”. E credo davvero che la lunga, complessa, anche contraddittoria storia dell’anarchismo sia anche leggibile come una lunga, complessa, anche contraddittoria storia d’amore. Una storia d’amore per la libertà.
Amore con la “A” maiuscola, dalla parte degli sfruttati, degli oppressi, degli emarginati., ecc. ecc.. E anche con la “a” minuscola, con l’amore quotidiano, concreto, solidale, anche fisico.
E se è vero che il mezzo è il fine, che il seme prefigura la pianta che sarà, allora è proprio vero che per noi amore e anarchia tendono a sovrapporsi. Sono quasi sinonimi.

Ndr
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