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Alessio Mariani, in arte Murubutu, è la rappresentazione vivente di ciò che da molti può essere considerato come un ossimoro. Infatti riesce ad unire la sua vita lavorativa da insegnante di  storia e filosofia al Liceo di Reggio Emilia con quella artistica da rapper, collegando, secondo il pensiero comune, un lavoro rigido e severo con uno pieno di fantasia ed elebaorazione. Probabilmente, però, è proprio l’unione di questi due mestieri che gli consegna la chiave della sua forza. Murubutu è uno dei prinicipali esponenti del rap sotto forma di storytelling, del rap portatore di concetti e contenuti importanti. Prendendo spunto dal vasto mondo della letteratura, della filosofia e della cultura narrativa con cui si trova a confronto nel ruolo di insegnante, Murubutu prova a portare racconti che attraverso la vicenda dei protagonisti, diventano i racconti della vita di tutti. Si è ormai affermato come rapper, non più solo emergente, e raggiunge su Spotify 82 mila ascoltatori mensili. Ha all’attivo quattro album, i primi due dedicati ai figli e gli ultimi due alla natura, a cui assegna un ruolo fondamentale. É stato in grado di ottenere anche la stima ed i complimenti pubblici di artisti come Guccini, con il quale ha svolto un incontro, e Caparezza, che lo ha invitato anche ad un suo concerto. E’ entrato da diversi anni nella Mandibola Records, fa parte dell collettivo LA Kattiveria e sta già pensando alla produzione del prossimo album. Ho scambiato due parole con lui.

Parlando della tua vita da  dottor Jeckyl e mister Hyde, ovvero da professore la mattina ed artista la sera, analizziamo quanto un mestiere rientra nell’altro. Quanta filosofia, letteratura e tutto ciò che gira intorno al ruolo di insegnante entrano nelle tue canzoni?

Il fatto di dover studiare in continuazione ed essere molto stimolato dal punto di vista culturale influenza anche la mia scrittura in ambito artistico. Le mie letture hanno un’influenza massiccia.

Passando da una direzione all’altra, che tipo di insegnante sei? Porti la musica nelle tue lezioni o non la reputi utile e ti attieni ai metodi tradizionali?

Sono un insegnante molto tradizionale: mi piace parlare di musica con i ragazzi, ma non la uso nella didattica. I miei alunni sanno che ho anche una vita artistica, ma sanno anche che Murubutu resta fuori dalla classe.

In un’intervista hai affermato di credere in un rap diverso. Quello italiano attuale non ti piace? Come lo cambieresti?

Quello attuale, in realtà, è caratterizzato da una rosa di proposte veramente ampia. Per cui ci sono cose che mi piacciono e cose che non mi piacciono. Il mio contributo  va nella direzione di un rap di concetto, che secondo me c’è ancora molto poco. Al rap non viene assegnata  la funzione di poter comunicare contenuti importanti, quando invece ne ha la possibilità. Per dire qualche nome di quelli che apprezzo posso dire Claver Gold, Carlo Corallo, per nominare un esordiente, e Dutch Nazari.

Cosa ti spinge a fare delle tue canzoni dei veri e propri “rap-conti”?

Io sono un grande amante della narrativa e ho pensato che questo fosse un modo indiretto per parlare di contenuti che riguardano un po’ tutti gli esseri umani.  Un po’ come la mitologia che parla delle caratteristiche salienti dei rapporti dell’essere umano sin dalle origini, anche la narrativa riassume un po’ il vissuto di noi tutti. Esprimere i contenuti in questo modo può essere una modalità accattivante per parlare di cose importanti.

Nella introudzione del tuo primo album dici “fate attenzione a quello che dico perchè scelgo le parole con cura”. Quanta importanza dai ai testi, per i quali ti faccio i miei grandissimi complimenti perchè mi hanno impressionato quando ti ho conosciuto, e da dove prendi le storie di cui parli?

Ti ringrazio molto. “Scelgo le parole con cura” nel senso che lavoro moltissimo sui testi: li vedo, li rivedo, cerco di fare delle grandi sintesi che però siano piene di significato e  molto intense. Le storie derivano o da testimonianze raccolte sul territorio o cose che leggo e poi tutto viene miscelato nella mia testa. Gli do una forma romanzata che viene creata da me.

Siamo in un periodo in cui si sta sempre più diffondendo la trap: un genere, che almeno in Italia, dà molta più importanza alla base rispetto al testo. A te piace la trap?

No, a me non piace perchè innanzitutto non tollero un abuso tale dell’autotune. Non lo amo come effetto della voce, quindi usato in questo modo così sistematico mi disturba. In secondo luogo, perchè penso che abbia delle modalità espressive che non favoriscono la veicolazione di contenuti: anche se uno li vuole mettere, fa più fatica che nel rap tradizionale. Questa saturazione del mercato degli adolescenti, e soprattutto dei preadolescenti, di questo genere sinceramente mi ha stancato.

Riferendosi proprio a questo predominio della trap, tu consideri  alternativi, speciali o non mischiati con  la scena mainstream gli artisti che come te e Caparezza, per citare uno dei più noti, danno molta importanza ai testi facendone dei veri e propri racconti?

Caparezza è un rapper che pur essendo mainstream, o pop potremmo definirlo, dedica davvero tanta attenzione ai testi. Si sente e lo apprezzo molto. Secondo me, bisogna dare importanza ai testi perché sono un valore aggiunto. In questo momento in cui c’è un’offerta gigantesca di musica, che viene diluita e consumata in un giorno per poi essere dimenticata, il testo fa la differenza. Su  un testo complesso puoi scoprire significati diversi anche dopo 2, 3, 4 ascolti. Ad un testo denso ti affezioni di più e lo puoi ascoltare per molto tempo, un testo superficiale lo ascolti un giorno e poi è andato.

Si può ritrovare in te un’influenza dei grandi cantauotori italiani?

Innanzitutto ricollegandomi al discorso di prima, i grandi cantautori sono rimasti nella storia anche perchè hanno scritto testi significativi. Comunque sicuramente sì e citandone tre tra tutti: De Andrè, Gaber e Guccini.  Con quest’ultimo ho avuto un’incontro pubblico al Festival della poesia di Castelfranco Emilia, dove generazioni diverse di narratori si sono confrontate attraverso noi due. Io sono un grande fan di Guccini e gli ho fatto molte domande. Lui è stato molto gentile e le ha fatte anche a me nonostante mi avesse conosciuto solo in quel frangente.

Hai mai pensato di rendere pagine di un libro i racconti di cui parli, o ti trovi più a tuo agio nelle regole, nei ritmi e nelle rime tipici delle canzoni rap?

Ho scritto racconti, però ancora mi trovo troppo a mio agio nelle ritmiche e metriche del rap. Mi dà molto piacere scrivere canzoni perché comunque, rispetto alla prosa, c’è anche tutto il veicolo musicale che rende tutto emotivamente più significativo. Penso che quando smetterò di fare musica, mi dedicherò alla narrativa.

Ormai è da parecchi anni che sei dentro alla Mandibola Records: reputi l’ingresso  in questa etichetta un punto di arrivo o di partenza?

Al momento non ho prospettive diverse e quindi non saprei. È un’etichetta con cui mi trovo bene e non so se la mia musica ha delle potenzialità di sviluppo  che mi permettano di approdare in una major. La mia crescita artistica non la misuro in termini di etichetta.

Come ti sembra lo scenario attuale delle etichette e delle case discografiche in Italia?

Mi sembra che ci sia un buon giro di denaro e  di conseguenza diversi investimenti. Non è un giro di denaro che fa necessariamente male alla musica. Non sono un “talebano dell’underground” che pensa che il commerciale faccia male alla musica. Penso che tutta questa visibilità e questo investimento sull’hip-hop faccia bene all’hip-hop perchè laddove si diffonde il mainstream cresce tantissimo anche l’underground.

I tuoi due ultimi album parlano del mare e del vento, che rapporto hai con la natura?

Sono influenzato tantissimo dal naturalismo, soprattutto quello francese ma anche quello italiano di Verga e quello russo di Turgenev. In questi narratori la descrizione naturale e quella in generale del paesaggio  hanno una grandissima importanza e ne subisco tantissimo l’influenza. Io sono cresciuto in una piccola città come Reggio Emilia, che quando io ero piccolo era ancora in gran parte campagna, quindi ho avuto un rapporto di vicinanza con la natura. Come diceva Borges, spesso si riprende molto dall’infanzia quello che si scrive, io rivedo moltissimo i paesaggi che ho visto da bambino e li riverso anche nelle canzoni.

Se dovessi chiudere ora gli occhi, quale è la tua canzone che ti torna per prima in mente? Che valore ha per te?

“Anna e Marzio” perché è un buon esempio di storytelling in senso stretto: ha un inizio, una conclusione, una contestualizzazione, un riferimento alla natura ed anche una doppia lettura metaforica. Penso sia un po’ anche quello che voglio fare in futuro.

 Terminando con un gioco, immagina di essere in Matrix e dover scegliere tra la pillola azzurra e la pillola rossa. Pillola rossa: Alessio Mariani diventa a tempo pieno Murubutu, continua a cantare e ad emozionarsi, ma non può più entrare in contatto con tutte le forme di cultura che riguardano la letteratura e la filosofia. Pillola azzurra: Murubutu non esiste più, ma esiste solo Alessio Mariani, un insegnante appassionato di letteratura e filosofia. Quale prendi?

Beh, prendo tutte due ovviamente (ride, ndr). Se dovessi proprio scegliere rimarrei Alessio Mariani perché  comunque la mia vocazione principale è quella di insegnante. Il rap è un grande amore ma una passione.

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