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Quello che segue è il quinto episodio di Nessuno, percorso video-poetico di Alberto Brizioli. Clicca qui per i precedenti episodi.

 

Quando smettere di partire?

Come riconoscere l’arrivo se si è privi di una destinazione?

 

A volte valuto l’ipotesi di fermarmi.

La notte però mi tradisce.

Gli orizzonti diurni sono circoscritti.

La notte invece lascia spazio solo all’infinito, camuffato da cielo stellato.

E non si può evitare di muoversi.

Non si può resistere ad un tuffo nel buio, all’idea che il mondo sia lì ad aspettare un tuo gesto per avvolgerti in una festa senza fine.

É questo il segreto del moto incessante e regolare dei pianeti:

il buio che li circonda.

Vedere la fine non può appagare, perché non c’è traguardo degno dell’animo vorace del viaggiatore.

Esistono solo i passi che si ripetono, e la rivoluzione che ne segue il ritmo.

Chissà quando smetterò di guardare dritto, per realizzare che sto solo girando su me stesso.

 

Questi pensieri mi transitano da una tempia all’altra mentre mi esercito alla guida.

Non ne sento il bisogno, ma mi piace vagare per la città.

All’altezza del vecchio mercato, una donna spazza per terra indossando un giubbotto catarifrangente.

Si muove a tempo sulle ruote di un paio di pattini in linea.

Porta al collo una radiolina che anima la sua serata.

Canticchia riempiendo il silenzio della strada deserta.

Riparto.

Poco più avanti decido che quella non era un’immagine da scorgere al volo.

Accosto.

Scendo e vado svelto nella sua direzione.

La distanza che ci divide si assottiglia.

Con lei la velocità del mio approccio.

Mi avvicino e non so che dire.

Lei si ferma e mi guarda.

Ha lunghi capelli crespi e grigi.

Rughe ovunque.

Avrà una cinquantina d’anni portati male.

Gli occhi riflettono un vago chiarore, un verde che deve esser stato splendente.

Sorrido.

Non so cosa voglio da lei.

Ricambia con un sorriso più convinto del mio.

Indugiamo come cani.

Ci annusiamo per capire se siamo nemici o amici.

Quando il mio odore gli è ormai familiare, si toglie una cuffia dall’orecchio.

Vorrà parlare?

No, me la porge.

Io faccio un’altalena cuffia-occhi prima di afferrarla.

La guardo.

Mi fa cenno di accostarla all’orecchio.

Non posso che acconsentire.

“Touch me with your naked hand or touch me with your glove,

dance me to the end of love”, accenna dei passi di danza e m’invita a seguirla.

Io do un’occhiata ai dintorni.

L’assenza di testimoni m’incoraggia ad improvvisare un ballo.

Nell’arco di pochi secondi ci troviamo a planare sull’asfalto, incuranti di ciò che ci circonda.

Io e la signora coi pattini.

Abbiamo trovato un linguaggio comune.

Volteggiamo ad occhi chiusi.

E nel telo nero delle palpebre serrate si proietta la mia imminente partenza.

La decisione che stavo corteggiando si concede.

Serviva un evento scatenante e, come spesso succede, riempio questo di significato.

Se non avessimo questa mania di dare un significato alle cose non ci chiameremmo uomini.

Continuo la danza ma sono già sulla strada.

Questo volteggiare è propiziatorio.

Presto mi congedo con un inchino scanzonato.

È un inchino alla vita.

Perché nessun cantastorie ha una simile fantasia, quando si tratta di inventare angoli dove essere sorpresi dalla bellezza.

Torno alla macchina.

Ora non mi resta che seguire le indicazioni per l’autostrada.

 

Si riparte da qui, 190 cavalli che galoppano in corsia di sorpasso.

Due fari allo xeno che accecano la carreggiata.

La catarsi dei kilometri che si accavallano.

Poi un’idea che al viaggiatore non toglie nessuno:

“poco più in là sarà tutto diverso”.

Bisogna andare lontano.

 

La nostalgia non te la toglie nessuno.

È lì a godersi lo spettacolo da sempre, è istantanea, come diceva qualcuno.

Matura nel momento stesso del piacere e della spensieratezza.

Anzi non esiste spensieratezza, perché la nostalgia è testimone onnipresente.

Aspetta soltanto il momento di palesarsi.

Intanto viaggia a braccetto col tempo.

E non c’è alibi che tenga, al momento di guardare indietro.

Lei colpisce dritta allo sterno, col peso del passato che batte sempre il presente.

 

Ma il tempo non ha unità di misurà, non può essere frazionato.

È solo uno, quello del venire al mondo.

Si può scavare una minuscola fessura.

Quella rimarrà.

La reiterazione non potrà ampliarne le dimensioni.

Per questo un amore di un minuto è l’amore di una vita.

Per questo un libro è fatto di una parola sola.

Per questo il mio viaggio è il viaggio dell’umanità intera.

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