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di Francesco Merlino

#MidnightInVenice

I sogni sono come i farmaci: se li usi con parsimonia ti fanno stare bene, se ne abusi ti uccidono.
Questo accadde a Pegeen Vail il primo marzo del 1967.

Tre di notte.
Scivolando con la barca lungo il Canale è il motore l’unico rumore che fa da sottofondo allo stupore. Lo sguardo passa attraverso i ciuffi di capelli che si disfano per poi ricomporsi col vento generato dall’andare. Li scansi con le mani, come fossero liane e tu un esploratore nella giungla. Palazzo Venier dei Leoni, pur non andando oltre il primo piano, è paradossalmente l’unico a svettare nell’eterna ripetizione della bellezza, regalandosi, in un contesto di elegante imponenza, l’affascinante privilegio dell’unicità.
Sottile piedistallo bianco di quello che sarebbe dovuto essere, la sua incompiutezza lo sottrae al rapimento dell’acqua, che non riesce a catturarne il riflesso.
Doveva avere tre piani secondo il progetto originale, ma ad un tratto i lavori si fermarono, secondo alcuni perché i soldi dei Venier finirono, secondo altri perché la potente famiglia Corner ordinò di interromperne la costruzione. E ancora nel mistero è avvolta la ragione del complemento di specificazione dei leoni, forse dovuto ai leoni in pietra d’Istria che fanno la guardia alla facciata, forse ai veri leoni che la Marchesa Luisa Casati teneva liberi in giardino durante le sue feste.
Ma a regalare sempiterna bellezza a Palazzo Venier dei Leoni non è tanto la sua origine misteriosa, quanto il fatto che, nel 1948, Peggy Guggenheim ne fece la sua casa ed il ricettacolo esclusivo degli artisti che cambiarono l’arte del ventesimo secolo.
Oggi il palazzo ospita la Peggy Guggenheim Collection, rendendo visibili al mondo i tesori di cui la ricca ereditiera statunitense si era circondata in vita.
Quelle stanze una volta ospitavano la quotidianità dell’ereditiera, collezionista di artisti più che di arte, al punto di sentire il bisogno costante di esserne circondata, nel tentativo di sfuggire alla vita per bene a cui l’aveva abituata il padre Benjamin, affondato eroicamente insieme al Titanic il 14 aprile 1912.
Oggi, invece, sono organizzate in un percorso, alla mercé del visitatore, che viene guidato attraverso il cubismo di Braque e Picasso, l’astrattismo di Kandinskij e Mondrian, il surrealismo di Max Ernst e Dalì, l’espressionismo astratto di Pollock.
Al percorso solcato dalla maggior parte dei visitatori fa però eccezione una piccola stanza, che finisce quasi per nascondersi dietro quella che una volta era la camera da letto di Peggy, nell’estremità destra del palazzo.
È la stanza dedicata a Pegeen Vail, artista naif dalle capacità sopraffine, che però rimasero incompiute, proprio come Palazzo Venier.
Era il 1957 quando Pegeen bussò alla porta di Peggy, dopo anni di peregrinazioni tra Londra, Parigi e New York, dove tentava di promuovere la sua arte. Era nella cerchia degli artisti di Palazzo Venier già da tempo, eppure, a differenza di tutti gli altri, non riceveva spesso le attenzioni della padrona di casa, famosa per instaurare un profondo rapporto di amicizia con gli artisti; amicizia che, secondo le stima del suo commercialista di allora, le permise di mettere in piedi una collezione che oggi varrebbe miliardi con poco più di centomila dollari.
Pegeen aveva lottato tutta la vita contro una depressione attanagliante, che riusciva a tenere a bada solo attraverso l’arte.
Ma da qualche tempo i suoi quadri non le bastavano più. Per questo andò da Peggy: per cercare quell’amore che sembrava spettare a tutti e di cui aveva terribilmente bisogno. Però, forse perché spesso non si combatte per ciò che si sa di avere, Peggy Guggenheim non sembrò mai ricambiare le attenzioni di Pegeen, che se ne andò poco tempo dopo, in cerca di nuove ricerche artistiche che assopissero la sua tristezza.

Era il primo marzo 1967 e Pegeen Vail pensò che per stare bene veramente avrebbe dovuto aumentare la dose dei farmaci che le tiravano su il morale.
Ebbe ragione. In pochi minuti la depressione sparì, insieme a tutti i suoi sogni.
Era ancora troppo piccola perché l’acqua di Venezia ne catturasse l’immagine per renderla immortale.
Eppure, scivolando lungo il percorso espositivo, in balia della magia di Kandinskij o di Picasso, è paradossalmente la stanza più piccola e nascosta a catturare di più l’attenzione del visitatore.
Quella stanza che fu l’ultimo tentativo di Peggy Guggenheim di essere una madre per sua figlia, Pegeen Vail.

pegeen guggenheim

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