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di Antonio Brizioli

 

Chiedo scusa in anticipo a tutti coloro che da un articolo titolato così, si aspettano la descrizione di una Perugia modaiola e indipendente. La durezza dei tempi mi costringe ad essere molto più letterale e, letteralmente, “underground” significa “sotto terra”. Da tempo manifesto il proposito di indagare sulle radici di Perugia e sul perché, pur standoci attaccati fisicamente, non lo siamo altrettanto a livello emotivo. Bene, le radici stanno sotto terra e, come si dice nella scena più toccante de “La grande bellezza”, sono importanti.

Dal 2011 è aperta al pubblico l’area archeologica sottostante il Museo del Capitolo di San Lorenzo, per accedere alla quale si può facilmente prenotare una visita guidata, di recente anche in serata con annesso apericena (ebbene sì, anche la Chiesa ha ceduto all’apericena, prossimo appuntamento il 28 agosto). Non è possibile capire cosa si trovi al di sotto dell’acropoli di una città come la nostra senza vederlo coi propri occhi e toccarlo coi propri passi. Il percorso è in discesa, ma non nel senso che sia facile orientarsi fra le complesse stratificazioni del sito, riconducibili, banalizzando di necessità, ai tre momenti più importanti della sua definizione: quello etrusco, quello romano e infine quello medievale, in cui l’area ha assunto la fisionomia che più o meno mantiene tutt’oggi. In realtà, l’aspetto più interessante è rappresentato da come questi tre momenti si accavallino gli uni sugli altri in una spontaneità architettonica cui gli scavi hanno avuto il merito di garantire una leggibilità chiara, senza ricorrere a semplificazioni artificiose.

Con una scala che parte dalla biglietteria del museo si scende al primo livello, dove si apre la vista su due muri etruschi appena sbozzati, non rifiniti perché in origine interrati a sostegno di una costruzione sovrastante, forse il santuario etrusco che sorgeva in loco. La zona con il muro più antico (datato VII sec.) è attualmente sotto cantiere e non visitabile, il che mi costringe a muovere immediatamente a una sala medievale voltata nella quale si sono svolti cinque conclavi, fra cui quello che ha eletto il “Papa del grande rifiuto” Celestino V (1294). Ovviamente c’è anche un gioco d’immaginazione, a me queste cose viene spontaneo visualizzarle mentre me le raccontano e ne esco con un’idea della mia città estremamente impreziosita. Tornando alla nuda realtà, si scende a un secondo livello, in cui la frescura dà la percezione tangibile dell’aumentata profondità. Qui comincia la parte a mio avviso più suggestiva: sporgendomi dalla ringhiera che protegge la discesa, guadagno la visione privilegiata del maestoso muro a secco etrusco in travertino che sorreggeva l’acropoli, terrazzando il santuario ad un livello superiore. Questo muro, a differenza dei precedenti, era ben visibile ed è stato costruito con una cura preservata dai secoli. Così procedo fino a costeggiarlo con un’empatia quasi commovente; addirittura si conservano due lettere ben incise su uno dei conci, probabilmente sigle della cava di provenienza.

Lasciando alle spalle questo simbolo così maestoso si arriva alla parte romana: una strada in basolato procede fin sotto piazza Cavallotti e porta ancora ben evidenti i segni delle ruote dei carri, che s’incastravano su dei primordiali binari per procedere più spediti e sicuri. Si arriva alla domus romana, residuo di una raffinata abitazione che conserva intatto l’impluvium, caratteristica cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, e alcune stanze, tagliate in altezza dalle sovrapposizioni medievali, ma con un pavimento in cocciopesto ancora perfettamente apprezzabile. Qui è impossibile non desiderare di trattenersi per una parentesi d’amore libero con una giovane e disinibita puella, ma purtroppo si tratta di un servizio al momento non disponibile. Ci si deve accontentare di toccare con mano i segni dell’incendio del 40 a.C., con cui Ottaviano (poi Augusto) punisce Perugia per essersi schierata al fianco di Marco Antonio nella guerra civile, al termine della quale l’intera classe dirigente perugina viene eliminata e Perusia diventa Augusta, come tutt’oggi a volte la si ricorda. Incredibile come posando un dito sul pavimento della domus si resti sporchi della cenere di quell’incendio, a distanza di 2054 anni. Siamo ormai 14 metri e mezzo sotto terra e la temperatura rigida non mi distrae da un ultimo regalo: la possibilità di accarezzare la roccia del Pleistocene inferiore (circa un milione di anni fa) su cui si posarono le prime edificazioni e su cui tuttora camminiamo quando facciamo su e giù per Corso Vannucci.

Una consuetudine di vecchia data vuole che un percorso depurativo si effettui ascendendo. Qui accade esattamente l’opposto, ci si purifica discendendo, metro dopo metro, visione dopo visione. E questa catabasi ti restituisce al livello della vita quotidiana con una percezione più complessa e fantasiosa della città, unita a una sincera esperienza di quelle radici sotterranee di cui siamo, di fatto, il prolungamento sopra la terra.

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