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Dalle dimensioni di un libro “tascabile”, Pilato e Gesù è un volume tanto sottile quanto
profondo nella sua analisi teologica-filosofica. Esso si pone come un’articolata ricostruzione
del più famoso dei processi; quello che vide Ponzio Pilato, prefetto dell’impero romano in
Galilea, condannare alla flagellazione e crocifissione il reo Yeshua, Re dei Giudei.

All’insigne Giorgio Agamben bastano appena una novantina di pagine per inscenare
il fatidico 
evento che segnò profondamente la storia dell’uomo e della religione cristiana, culminante
nella redenzione del peccato umanitario da parte di Cristo, colui che venne nei secoli seguenti
identificato come Dio fattosi carne.

E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. (Gv. 1,14).

Il mio regno non è di questo mondo” – He basileia he eme ouk estin ek tou kosmou toutou.
Questa è appunto una delle concise asserzioni attribuite a Gesù durante il colloquio con
Pilato, nel Vangelo di Giovanni; unico testo canonico che possiede una descrizione ampia e
particolareggiata del processo.

Ma dinnanzi a chi, Gesù, si dovette “giustificare”? Chi fu l’uomo, l’incaricato di Cesare,
rappresentante del potere civile e temporale, che si assunse (o forse no)
la responsabilità di processare colui che venne considerato successivamente “Figlio di Dio”?
Fu Ponzio Pilato, un personaggio crudele e senza scrupoli,
oppure un semplice funzionario
dal temperamento debole e titubante,
non capace di reggere le pressioni del sinedrio?

Da quanto riferito dalle fonti (Vangeli sinottici ma anche Apocrifi), non c’è dubbio che il
prefetto di Galilea attuò un atteggiamento enigmatico ed ambiguo nei confronti di Gesù.
Pilato fu a tutti gli effetti un personaggio storico, un funzionario dell’impero chiamato ad
applicare le procedure di diritto romano nei confronti di un uomo che affermò esplicitamente
la sua venuta al mondo per testimoniare la verità – ina martyreso tei aletheiai.

È infatti una posizione estremamente delicata quella di Pilato, osserva Agamben,
in cui vi scorge lo scontro tra due mondi differenti, l’incrocio tra l’eterno e il temporale,
tra il sacro ed il profano, e per dirla in termini agostiniani: tra la città di Dio e la città degli uomini.
La sua, risulta infatti una lettura inedita: la concezione di Pilato “esecutore” del volere di Dio
al pari di Giuda Escariota va rivista. Il ruolo del prefetto della Giudea non si iscrive
nell’ordine dell’economia della salvezza cristiana; Pilato è umano, con le sue indecisioni e le
sue debolezze, è rappresentante del mondo terreno tenuto a giudicare colui che dice di arrivare
da un regno ultra-terreno. Lo stesso giudizio, analizzato sotto diverse prospettive (tra cui
quella giuridica) diviene un non-giudizio, conseguentemente la crocifissione
non si configura più come una pena.

L’incontro tra dimensione eterna e temporale prende la forma di un
processo senza sentenza, il giudice infatti consegnò – paredoken – l’imputato al popolo in
tumulto. Paradoken, come fece notare il teologo Karl Barth, risulta un termine di notevole
importanza ermeneutica nella narrazione dell’evento: Giuda consegnò Gesù agli ebrei, che a
loro volta lo consegnarono a Pilato, quest’ultimo non emise un giudizio – krisis – atto a
decidere in contesto giuridico le sorti dell’imputato, ma consegnò nuovamente Gesù agli
ebrei.

L’autore si destreggia con abilità e chiarezza dall’esegesi di grandi filosofi della chiesa, alle
significative teorie teologiche esposte da Dante nel De Monarchia, fino ai commenti ironici di
Nietzsche volti ad irridere la traduzione giudaico-cristiana. Tratta le controverse leggende
riguardanti Pilato, una delle quali, la cosiddetta Leggenda Bianca, assolve il prefetto dalla
responsabilità della crocifissione. Sussiste dunque ancora un’immagine positiva del
funzionario romano, probabilmente consapevole della figura trascendente di Cristo, ma
incapace di mantenere una fermezza dinnanzi alla pressione esercitata dal popolo ebraico. Chi
si immaginava che la sua figura fu santificata dalla Chiesa etiopica? E quella della moglie
festeggiata dalla Chiesa greca ogni 26 ottobre?

Insomma, nessun altro meglio di un Maestro dei nostri tempi come Giorgio Agamben può
aprirci le porte e guidarci in una controversia storica e teologica di così grande importanza.
Pilato e Gesù è a tutti gli effetti il libro adatto per riscoprire le radici
di immensi edifici culturali che puntualmente influenzano le nostre vite e che, spesso,
tendiamo a dimenticare o a dare per scontato.

 

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