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di Pancrazio Anfuso

Tele Capodistria era un vulcano di emozioni.
Film partigiani dove i tedeschi erano cattivi
e i partigiani buonissimi e intelligentissimi.
(Offlaga Disco Pax, Cinnamon)

“May the force be with you”
(Vari, Star Wars)

Non sono un appassionato di fantascienza. Lo sono stato: ho letto Urania per un sacco di tempo, intorno ai vent’anni, e ho divorato tutto l’Asimov che sono stato in grado di reperire. Però non ho seguito con particolare attenzione, negli ultimi quarant’anni, lo sviluppo delle vicende della “saga” di Guerre Stellari, o per meglio dire Star Wars, plurimiliardaria pluripremiata multiforme impresa titanica che ha prodotto intrattenimento per ammiratori felici.
Che poi, mica è “solo” fantascienza.

Per me, confesso, Star Wars fa il paio con Star Trek. Li gradisco, ma in fondo mi sono indifferenti. Io sono un fan di Spazio 1999 e di UFO. Roba più vecchia, effetti speciali da B-Movie, un numero ridotto di personaggi, le ufficialesse gnocche della Shado, la deriva della luna in giro per la galassia. Cose meno roboanti, alieni dimessi, effetti speciali da carta stagnola.
Scopro adesso sul web che l’assistente di Straker con i capelli viola in UFO era la sorella di Nick Drake, nientedimeno. Piccolo, il mondo. Ma in Televisione il telefilm era in bianco e nero e i capelli erano grigi.

Sono andato, comunque, a vedere i film di Guerre Stellari. Li ho visti tutti. Alcuni al cinema, altri in televisione, anche di recente. Non sono capace di ricostruire la vicenda, tra prequel, spinoff e rimandi incrociati fitti fitti: vedo ogni film come fosse a sé stante. In più mi si sovrappone il ricordo dell’esilarante parodia fatta da quel genio di Mel Brooks, Balle spaziali, che mi scombina un universo già traballante.

Così sono andato a vedere il nuovo spinoff della storia, Rogue One. Ho capito che si tratta di un film di guerra, dove i ribelli attaccano l’impero per recuperare i piani di un’arma micidiale, la Morte Nera, costruita da uno scienziato rapito dai cattivi. I cattivi sono i soliti, somigliano ai nazi, soprattutto il fetido Dart Fener, che poi si chiama Darth Vader, anche se io lo catalogo affettuosamente come Dart Water.

La truppa imperiale d’assalto, gli Stormtrooper, è tutta color latte, sempre infilata dentro una tuta lucida e immacolata, sorta di mix tra i drughi di Arancia meccanica e gli spermatozoi di Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere di Woody Allen.
Il salto cromatico non inganna, però: i soldati di Dart FenerVaderWater sono al servizio del male sempre e comunque, bianchi ma neri, anche se in genere finiscono ammazzati a caterve, senza riuscire a fare danni ai Ribelli. Il che conferma la versione/spermatozoi di Woody Allen, in un certo senso.

La storia di Rogue One gira intorno all’arma letale, che è la Morte Nera, una stazione spaziale in grado di proiettare una forza enorme che può distruggere un intero pianeta. Quando la usano somiglia parecchio a un fungo atomico, il che alimenta la confusione: se l’arma similatomica ce l’hanno i cattivoni c’è qualcosa che non torna: la metafora bellica, per l’esattezza, visto che l’arma atomica nella realtà l’hanno usata quelli buoni.

E nel film i buoni sono i nostri: le scene di guerra con lo sbarco dei ribelli sull’atollo dove sono custoditi i piani della Morte Nera inzeppano fotogrammi da sbarco in Normandia, battaglia delle Midway, SuperEroica, Rambo e Full Metal Jacket, col contorno di Salvate il Soldato Ryan.

Tutto l’armamentario dell’eroismo americano, nella circostanza in salsa multirazziale: un similjedi orientale cieco e cazzutissimo che tira fendenti mentre mormora mantra che lo collegano alla Forza, il suo tirapiedi asiatico pure lui, anche se non so come chiamare l’Asia galattica, un pilota imperiale disertore decisamente arabeggiante, un ufficiale dei ribelli ispanico, uno scienziato rapito dagli imperiali scandinavo, che lascia una figlia gnocchissima che sarà chiamata a condurre insieme al tenente dei ribelli l’azione decisiva.

Che si svolge, al solito, sospesa nel vuoto, in mezzo a pericoli indicibili, mentre intorno infuria il cozzo supertecnologico di astronavi munitissime. Dotate di ogni diavoleria tecnologica, che finiscono però per superarsi abbattendosi l’una sull’altra, tipo autoscontro, manco fossero antiquati autoblindo lanciati kamikaze contro i potenti panzer nemici.

Un minestrone a tratti esaltante, con potenti navette uscite pare pare da Space invaders, buffi automi tuttofare, macchine da guerra che ricordano dinosauri di ferraglia e che vengono abbattuti quasi con le fionde, ciechi che centrano ogni bersaglio e si muovono imprendibili tra gli StormTrooper spermatozoici, i peggiori tiratori mai visti sul grande o sul piccolo schermo, e anche su youtube, già che ci siamo.

Un’opera imponente, che suscita gli entusiasmi del pubblico, sparuto ma vitale in una prima soirée senese meritevole di miglior sorte, con la cassiera loquacissima che ci appioppa, col biglietto, gli scomodi occhialini d’ordinanza, che ci regalano un modesto effetto tridimensionale, e si produce all’intervallo nella vendita del cigolante popcorn che fa da sottofondo sonoro in ogni cinema, rispettabile o meno, a parte quelli a luci rosse che non mi sembra, comunque, esistano più.

Tutto sembra provenire da un futuro datato, anteriore nel senso di passato davanti come una pagina fuori posto, che leggi perciò prima del tempo, dove il gioco dei rimandi tra le centinaia di personaggi apparsi nei mille episodi della saga fissa il tempo e costringe gli effetti speciali a mostrarsi come sarebbero stati se la narrazione fosse stata in sequenza. Fintovecchi. Classici, come le scene dei locali affollati di alieni, che ricordano anche Alien, già che ci siamo, o le navi, le armi e gli oggetti tecnologici.

Magia del cinema che è finzione e racconta perciò una realtà posticcia facendo finta che sia vera, ma per davvero. Ci manca però l’introduzione con le scritte che scorrono nell’oscurità del cosmo punteggiata di stelle, e ci mancano le tuniche Jedi, e le spade laser, anche se nel finale Darth FenerWater regala qualche generosa saccagnata ronzante ai ribelli.

Qualcuno fa notare che gli alieni, nella storia, non sono mai determinanti.
Le sorti della saga le decidono gli umani: la ricetta di Lucas, e della Disney, è semplice ma ha fruttato miliardi di dollari e milioni di fans. E chi la tocca?

Il cameo finale di Carrie Fisher, principessa Leia o Leila, a seconda dei casi, è perfettamente in linea con le esigenze di cassetta: o, almeno, vado io al cinema il giorno dopo la ferale notizia della sua scomparsa.
Sì, il 2016 ha portato via anche lei, che però vive ancora nei cuori dei fans e nel futuro lontanissimo delle Guerre Stellari.
Pronto a tornare, al prossimo spinoff.

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