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di Pancrazio Anfuso

« Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare. […] Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. […] »
(Sandro Pertini)

Un giovane politico, che non nomino per decenza e per rispetto della grande figura che ho citato a margine, ha irriso ieri sera un anziano Giovanni Minoli che gli chiedeva, in un’intervista televisiva, cose sul fascismo e sull’antifascismo, rispondendo che nel 2016 parlare di fascismo e antifascismo è come parlare di Guelfi e Ghibellini. Acqua passata.

Questo succedeva alla vigilia dell’anniversario dell’attentato di Piazza Fontana, che inaugurò nel 1969 la stagione delle stragi in Italia conosciuta come “strategia della tensione”, mirata a condizionare e a ritardare il compimento della democratizzazione del nostro paese, dove ancora oggi sono vive, e raccontano memoria, persone sopravvissute agli eccidi perpetrati dai nazisti nell’ultima guerra, con la fattiva collaborazione dei resti di un infame regime in decomposizione, persone sopravvissute ai campi di concentramento e di prigionia e alla tortura della polizia fascista e della Gestapo.

Non è da un punto di vista politico, storico o ideologico che è giusto confutare l’immane corbelleria espressa da questo ragazzo folgorato da improvvisa e imprevedibile carriera nello scombinato panorama politico italiano. Il niente espresso dal nulla non merita commento, se non un sorriso al pensiero che cotanto acume sia stato paragonato nientemeno che a Ernesto Guevara, più noto come “Che”. Il fascismo ha segnato fortemente la storia italiana e quella europea, tant’è che ancora oggi divide in maniera palpabile una bella fetta degli italiani.

Soprassalti nostalgici ci vengono riproposti quotidianamente dalle cronache, che ci sia da combattere contro l’immigrazione che altera la purezza della razza o da mettere in piedi organizzazioni criminali che tengano in ostaggio la legalità e la democrazia, che ci sia da intimidire e perseguitare gli omosessuali o da trastullarsi con qualche sparata antisemita.

Sembra evidente come l’orologio della storia per alcuni si sia fermato, mentre quello dei messaggeri di un luminoso futuro (parecchio) anteriore sia proiettato, appunto, verso un domani ancora di là da venire. Io ne faccio una questione di umanità. Ho visitato alcuni posti che mi hanno toccato nel profondo e che consiglierei a un macinatore di chilometri come il politico in questione, smemorato e furbetto, che le spara grosse per nascondere il nulla programmatico su cui poggia le sue fortune politiche.

Un giretto a Stazzema, uno al cimitero nazi che sta a Firenzuola, uno vicino casa alle Fosse Ardeatine, o in via Tasso, un’occhiatina a qualche film manco troppo palloso, ancorché in bianco e nero, tipo Roma Città Aperta. C’erano Anna Magnani e Aldo Fabrizi, grandi tifosi laziali come lo smemorato in questione. Magari la comune appartenenza calcistica è più rilevante ai suoi occhi.

Documenti e siti che potrebbero raccontargli di un Paese in ginocchio per i danni incalcolabili fatti da un regime da operetta che somiglia, in piccola parte, a quell’esercito chiamato a raccolta dalle urla di un attore comico di antica fortuna. Ha iniziato la carriera in televisione prima delle strage della stazione di Bologna, basta chiedere e vedrai che lui se la ricorda bene. Un esercito che si fa chiamare movimento, quando pare fermo in attesa che l’altrui impresentabilità gli consegni il Paese, di nuovo pronto a fare un salto nel buio di cui potrebbe pentirsi amaramente.

Ce l’hanno raccontato i nostri nonni antifascisti, dei soprusi e delle requisizioni, delle percosse e delle ruberie. Della gente che svernava in montagna tra muri di neve e attraversava a piedi la penisola per opporsi a chi, in tempo di pace, l’aveva schedata, vessata e deportata, privata della libertà di pensiero e del diritto al riscatto lavorativo sancito, poi, una volta per tutte, dalla Costituzione.

Una memoria ancora viva, ben rappresentata nelle piazze del No, sotto le insegne dell’Anpi, ma forse il giovane non le avrà notate, ritenendo che la folla fosse lì esclusivamente per lui. I combattenti che hanno liberato il Paese dalla stretta mortale di nazisti e fascisti, insieme alle forze alleate, hanno prodotto una Costituzione che ha rappresentato l’ultimo baluardo nei confronti dei venti mefitici che hanno dimostrato, nei decenni successivi, quanto fosse limitata la sovranità del Paese.

La storia recente lo racconta, altro che Guelfi e Ghibellini: Piazza Fontana, Piazza della Loggia, l’Italicus, la Stazione di Bologna, San Benedetto Val di Sambro. Un mucchio di morti, un mare di sangue e di terrore che il giovane apprendista statista liquida con un ghigno sardonico.

Ancora co’ ‘ste storie vecchie come il cucco.

Con questo liquida anche l’avanzo di utopia che ancora popola la testa di chi, anacronisticamente, si ostina a vagheggiare una società di eguali, che è l’unico possibile compimento della democrazia, che in questo Paese è negata perché negato ne è il fondamento: una Repubblica fondata sul lavoro che non c’è. Il che a pensarci bene lo qualifica, in un ideale schieramento, come persona che non rispetta l’ideale politico altrui. Questo, a detta di un vecchio e onesto rivoluzionario come Pertini, era il fondamento preciso del fascismo. Che per il vecchio Presidente era l’unico ideale da combattere senza quartiere:

“Il fascismo per me non può essere considerato una fede politica! Sembra assurdo quello che io dico ma è così, il fascismo è l’antitesi delle fedi politiche! Il fascismo è in contrasto con le vere fedi politiche, non si può parlare di vera fede politica parlando del fascismo perché il fascismo opprimeva tutti coloro che non la pensavano come lui. Chi non era fascista era oppresso, e quindi non si può parlare di fede politica chi reprime la fede altrui e chi combatte, io combatto ma combatto su un terreno democratico” .

Mediti, l’aspirante statista, sulle passate sfortune del grande Paese che si accinge, se gli italiani vorranno, a governare. Si ispiri, lui che persegue l’onestà, ai principi di un uomo coraggioso e integerrimo come Sandro Pertini. Ragioni sulle contraddizioni della storia, anche quando parla di Guelfi e Ghibellini, gli uni contro gli altri armati che rappresentano alla perfezione l’oggi di un Paese scosso e avvelenato da faide, bugie e piccinerie che servono solo a contendersi lo scettro del potere. Perché Machiavelli, quello no, non diventa mai inattuale.

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