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di Antonio Brizioli

 

Mi sento vivo e non distinguo più niente. C’è una capra nel mio terrazzo, i pesci rossi nuotano sul davanzale, un mago si diverte a piegare le monete… Cazzo! Qualcuno ha scordato una gallina nello scatolone e la capra continua a cagare. Sono al trentaseiesimo cocktail, chi sono? Dove siamo? Sono vivo e felice. Confuso fra gli animali e le prodezze del creato. Milano sta lì sotto e oggi è nostra. Oggi è piccola piccola in confronto a noi. Sacerdoti dei rapporti umani, celebratori di piccoli momenti di sregolatezza.

L’amore può essere anche una cosa che nasce quando non vedi più nulla e il cemento intorno sembra un prato fiorito. Lo pensava Valerio, sopraelevato rispetto a un mondo distante, facendo slalom fra drink rovesciati e bengala utilizzati come cannoni per sparare in cielo in attesa di risposte. C’era poco tempo per riflettere in quella fresca serata primaverile.

Chi sono? Dove sono? Perché mi fotografate dai palazzi davanti come una star? Stamattina stavo brucando come ogni giorno nel mio prato preferito, poi il pastore mi ha preso in braccio recalcitrante e mi ha buttato sul portabagagli di una macchina. 50 euro il prezzo del mio noleggio. Sinceramente, pensavo di valere qualcosa di più. E invece niente, merce di scambio. Ho un po’ paura, chissà dove mi portano. Ci sono sempre più rumori, la gente urla, suona il clacson, siamo arrivati in città.

Un’ultima svolta, un parcheggio più facile del previsto e finalmente il portabagagli si apre. Comincio a capire il luogo del mio sequestro, siamo dentro Milano, ci sono i palazzi, c’è un piccolo parco. Non è poi così male. Mi aspettavo di peggio da un rapimento. Mi portano su per le scale, cinturandomi stretta, credevo ci fosse l’ascensore e invece niente. Saliamo a piedi come vuole la nostra natura.

Intanto in terrazzo è tutto un brulicare di lucida follia. Qualcuno posiziona bottiglie alcoliche dalla dimensione inconsueta, qualcun altro sistema i pesci, altri chiamano fornitori, scaricano bengala, preparano trucchi di magia, gestiscono con sacra maleducazione i rapporti di vicinato. Perfino il sole sembra aver capito che sta per aver luogo qualcosa di inconsueto e – assecondando il corso degli eventi – tramonta timido. C’è un po’ da mangiare ma l’appetito più forte è quello del sogno, della magia controllata (fino a un certo punto).

Sono Valerio e non vedo più nulla, davanti a me è tutto sfocato. Vedo sagome di donna, semplici, stupide. Non mi resta che prenderle sotto braccio, sotto braccio. Prendo le misure e cerco di non fare male. Mi indicano la sagoma giusta, la vedo, mi ama, la amo. Amarsi fra sagome, ignorando la faccia e i pensieri. Amarsi come fantasmi che si scrutano nel bosco solitario. Un bosco in terrazzo, con gli animali feroci, poi ci siamo io e te. Seguimi. Ti porto al laghetto dove si vedono i cigni. Il laghetto limpido no, non è un cesso come ti hanno raccontato. È uno specchio d’acqua primordiale, primitivo…

Un paio di mutande volteggia leggero prima di atterrare nel cortile interno del palazzo. Nessuno saprà mai a chi appartenevano. Al cesso il giorno dopo c’è puzza di vomito e niente prati, niente pesci, niente cigni, solo tanto da pulire. Il terrazzo è un campo di battaglia e anche la strada sottostante, immobilizza nella quiete pura della domenica mattina i segni di un rituale incontrollato.

Mi spiace amore mio, è tempo di tornare a casa. Destino crudele il nostro: tu appartieni alla natura e io alla civiltà. Non possiamo sposarci, lo so che ieri sera ti dissi di sì, ma ero molto ubriaco, ubriachissimo. E da ubriachi i sentimenti sono sempre veri, le dichiarazioni d’amore quasi mai. Domani ho la sveglia presto, martedì ho un esame, pensami nei prati, pensami mentre mastichi un fiorellino primaverile, smarrita nel gregge ordinato delle tue sorelle. Ti ho amato davvero Magda, credimi, ma purtroppo il nostro amore è senza futuro… Tuo, Valerio.

 

Clicca qui per leggere la storia di Cecilia e Antonio.

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