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di Gianluca Gerli

 

Nuovi e caotici movimenti sociali scuotono il Vecchio Continente, facendo dubitare della solidità di ciò che tiene insieme quest’Unione. Se difatti un tempo erano gruppi ed organizzazioni ben definite come partiti o sindacati a catalizzare il malessere generale, oggi sono le masse e gli individui migranti a mettere in luce le contraddizioni della realtà nella quale viviamo e, osservando quanto successo quest’estate a Ventimiglia, ci si rende conto come non mai di tutto questo.

Nel territorio comunale della cittadina ligure, presso la frontiera con la Francia, sorgeva appunto il presidio NoBorder, una realtà che iniziò a prendere forma l’undici giugno scorso, quando un gruppo di migranti, intenzionati a passare il confine, evitò lo sgombero da parte della polizia trovando rifugio sugli scogli, in riva al mare. Tutto ciò permise a queste persone clandestine di sfuggire alla detenzione nel centro della Croce Rossa nei pressi della stazione o all’identificazione, pratica quest’ultima che le avrebbe costrette a terminare il proprio viaggio in Italia, invece di poter proseguire il proprio cammino.

Da quel giorno reti di solidarietà si sono intrecciate organizzandosi per costruire un laboratorio permanente di convivenza e di resistenza alle politiche repressive messe in atto dalle forze di polizia francesi e italiane; politiche che, quotidianamente, venivano documentate da coloro che vivevano al presidio.

Questo campo autorganizzato costituiva un crocevia non solo per i migranti, ma anche per gli attivisti, spesso primo e a volte unico porto sicuro di lunghi ed inenarrabili viaggi. Qui i migranti ricevevano informazioni sui propri diritti e venivano poi avvisati dei pericoli che correvano affidandosi ai passeur: si trattava di individui, spesso legati alla criminalità organizzata, che per qualche centinaia di euro si incaricavano di trasportare le persone oltreconfine. I pericoli stavano appunto nel fatto che spesso i passeur derubavano e picchiavano i migranti abbandonandoli poi magari ancora in territorio italiano.

Essendo dunque il presidio autogestito da migranti ed attivisti, la loro convivenza non comportava uno scambio unilaterale di informazioni, quanto piuttosto una concreta condivisione di pensieri, sentimenti, paure, speranze e, sul piano pratico, una condivisione degli spazi e delle attività che venivano svolte: dallo sbrigare le incombenze quotidiane quali cucina e pulizia, all’organizzare corsi di lingua ed attività ludiche e dimostrative.

Il 30 settembre scorso, alle prime luci dell’alba, dodici camionette delle forze dell’ordine giungono al campo per sgomberarlo. Ad attenderle vi sono solo una cinquantina di persone fra migranti ed attivisti che, un po’ sconcertate dall’imponente dispiegamento di mezzi da parte della polizia e dei carabinieri, hanno già deciso di farsi trovare direttamente sugli scogli e di resistere proprio lì, dove questo movimento ha preso corpo.

La ricerca e la creazione di spazi e momenti di aggregazione che abbattano i confini della Fortezza Europa è stata l’essenza stessa di questo presidio, dato che tali frontiere non limitano solo la libertà di movimento dei migranti, ma sono sempre più spesso delle vere e proprie barriere anche fra chi vive già all’interno del territorio europeo e sembra aver perso la capacità di comunicare ed esprimere insieme agli altri il proprio malessere, i propri bisogni, le proprie aspirazioni ed idee.

Chi ha avuto la possibilità di vivere nel campo di Ventimiglia, ha visto crollare alcune di queste barriere che spesso aiutano noi europei a condurre una vita serena ma che, una volta distrutte, non possono più essere ricostruite.

Ecco perchè il presidio non è finito con il suo sgombero e la sua esperienza continua a vivere e a diffondersi grazie alle persone che l’hanno vissuta. Oggi c’è ancora chi a Ventimiglia resiste e continua a documentare le continue violazioni perpetrate dalla polizia francese nei confronti dei migranti oltre alle attività dei passeur; ma di qua e di là dal confine le persone si spostano, le idee viaggiano, le relazioni restano e si amplificano. La loro potenza creatrice è già in atto.

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