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di Teresa Agostini

 

Pochi giorni fa ero nella contea di Lynchburg, Tennessee, più precisamente nella distilleria presso la quale viene prodotto il whiskey più venduto al mondo: il Jack Daniel’s. Durante il mio tour, ovviamente, mi viene raccontata la storia del grande creatore di questa nota bevanda, Jasper Newton “Jack” Daniel, e io ne rimango piuttosto estasiata.

Ora, immaginate questo Mr. Jack, nato nel 1850 in un paesino di 361 anime in una famiglia che conta 13 figli di cui lui è l’ultimo nato. Jack detesta il caos e il macello che pervade la sua casa e scappa costantemente dal suo vicino, Dan Call, che ha un distilleria e fin dall’età di 7 anni insegna al piccolo come si produce il whiskey. All’età di 13 anni Jasper sta già lavorando alla prima bozza di ricetta di Jack Daniel’s e in pochi anni riesce a comprare un terreno nella sua contea e mettere su una distilleria sua, che è già tra le più importanti di tutto il Tennessee quando Jack ha solo 30 anni.

Mr. Jack è un uomo fine Ottocento ma mentalmente è un tipo nato nel 2000. Pioniere del marketing, si compra un Saloon per promuovere e sponsorizzare al meglio il suo whiskey, lo stesso fa prendendosi una banda che se ne vada in giro per la città a suonare ma che ha su tutti gli strumenti il logo della sua distilleria. Il caro Jack fa una vita piena, da scapolo convinto, nella quale dedica ogni giorno a fare ciò che ama e a vivere fino all’ultimo istante. Poi ecco che arriva una sera di Ottobre del 1911: Mr. Jack è stato in giro a fare baldoria come ogni sera ma nel cuore della notte si accorge di essere rimasto senza soldi, dunque si reca di corsa nella tenuta di Lynchburg dove sa che troverà una cassaforte piena di contanti pronta ad aspettarlo. Ora, chiunque sia stato almeno una volta un po’ alticcio saprà che superato un certo livello di alcol corporeo, anche la più piccola impresa diviene mastodontica. E infatti Jasper arriva nel suo ufficio, prova ad aprire la cassaforte ma non ci riesce. Adirato con se stesso e il suo stato inizia a dare calci così forti al mobile che arriva a rompersi l’alluce di un piede. Il 10 Ottobre 1911 Jasper Newton “Jack” Daniel morirà a causa del suo intero piede e successivamente anche la gamba, andati in cancrena. Il suo alluce non è mai guarito dopo quella notte di frivolezze.

Inutile dirvi che alla fine di questo racconto i miei pensieri non sono potuti che volare al buon Alessandro Manzoni. Non tanto per la vita dissipata quanto per la tipologia di morte avuta. Per chi non ne fosse al corrente il padre della lingua italiana, nonché creatore del primo romanzo italiano, dopo aver vissuto una vita a scrivere, comporre e regalare all’umanità tante magnifiche opere, essere diventato cavaliere, commendatore della Toscana e aver ricevuto mille riconoscimenti, una mattina del Maggio 1873 si è alzato per andare alla messa della chiesa di San fedele a Milano. Uscendo dalla chiesa Alessandro scivola su uno dei tre gradini del portone della chiesa e batte la testa, viene immediatamente soccorso ma pochi giorni dopo muore a causa del grave trauma cranico subito.

Io non so precisamente se, come dice mio padre, il problema è che le persone geniali sono tanto attente nel loro “campo d’azione” quanto disattente per le cose della quotidianità. Sta di fatto che le morti di questi personaggi, come altri simili a loro – per esempio il filosofo sir Fancis Bacon, morto nel tentativo di congelare un pollo – mi colpiscono e mi fanno riflettere spesso molto di più del loro operato. Insomma se ci pensate un attimo immaginatevi di spendere tutta la vostra vita alla ricerca del distillato perfetto di whiskey, o studiando disperatamente il modo di creare una lingua che possa divenire unica per tutta quanta la penisola italiana; lavorate tanto, vi spaccate le spalle, create, scrivete, investite il vostro tempo e le vostre risorse il quello che per voi è qualcosa che conta. Poi un giorno vi svegliate, scivolate su uno scalino e siete morti. Così, senza salutare nessuno, senza lasciare un testamento ai posteri, o poter dire al mondo intero cosa avete imparato veramente dal vostro lavoro. Un minuto prima ci siete, un minuto dopo prendete a calci una cassaforte da brilli che vi ucciderà.

Alla luce di questo l’unica grande cosa che posso imparare, è che siamo molto più effimeri di quanto si crede. Dunque forse dovremmo tutti fare un po’ di più come Nanni Moretti in Aprile: calcolare con un centimetro la vita che ci resta redendoci conto di quanto poco tempo abbiamo e investirlo facendo qualcosa che ci appassiona veramente, in modo se non altro da poter morire senza rimpianti, in qualsiasi istante.

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